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Quando l’arte imita la vita
Come nelle Chansons de geste il film mette in sequenza scene con significato autonomo, similmente alle formelle giustapposte delle cattedrali dove si smarriva l’estasi del giovane Bergman, tra i serpenti del Paradiso e l’asina di Balaam. Un’opera nell’opera, l’arte che racconta la vita. Se fosse letteratura sarebbe una recherche cavalleresca, se fosse dipinta somiglierebbe all’incisione di Dürer Il cavaliere, la morte, il diavolo, mentre se si potesse ascoltare, risuonerebbe come il tuonante Dies Irae a prefigurare l’Apocalisse. Il “silenzio di Dio”, lontano dall’essere modello per un kammerspielfilm come per la trilogia a venire, è speculazione attiva tra Proust e Kierkegaard, è pienezza vitalistica che si chiude con la più gioiosa tra le danse macabre del grande schermo.
Ingmar Bergman parla del “Settimo sigillo”
Le parole di un autore sul proprio film rappresentano sempre un territorio affascinante da esplorare. Ci sono registi decisamente laconici e poco propensi a spiegare le loro opere, e altri che aprono liberamente lo scrigno delle idee e delle influenze. Bergman è uno dei cineasti che più ha costruito una autobiografia della propria arte, e anche sul Settimo sigillo ha svelato importanti processi creativi e poetici. A volte anche in modo inatteso: “Non si tratta, infatti, di un’opera priva di pecche. Viene fatta funzionare grazie ad alcune pazzie, e si intravede che è stata realizzata in fretta. Non credo però che sia un film nevrotico; è vitale ed energico. Inoltre, elabora il suo tema con desiderio e passione”.
“Il settimo sigillo” e la critica
L’antologia critica su Il settimo sigillo di Ingmar Bergman non può che partire dallo spettatore più acuto e influente del regista, ovvero Woody Allen: “Il settimo sigillo è sempre stato il mio film preferito. Se io dovessi descriverne la storia e tentare di persuadere un amico a vederlo con me, direi: si svolge nella Svezia medievale flagellata dalla peste, ed esplora i limiti della fede e della ragione, ispirandosi a concetti della filosofia danese e tedesca. Ora, questa non è precisamente l’idea che ci si fa del divertimento, eppure il tutto è trattato con tale immaginazione, stile e senso della suspense che davanti a questo film ci si sente come un bambino di fronte ad una favola straziante e avvincente al tempo stesso”.
“Il settimo sigillo” e la Danza Macabra
La Danza Macabra, all’interno dell’immaginario tardomedievale, è un tema ricorrente capace di influenzare produzioni artistiche di vario tipo, dalle opere iconografiche fino alle composizioni musicali. In ognuna delle diverse rappresentazioni essa assume il significato di “memento mori”, diventando un rito, quasi un inno alla “grande consolatrice”. Con Il Settimo Sigillo, Ingmar Bergman ci propone la sua particolare visione della Danza Macabra, questa volta riprodotta grazie al filtro epico della macchina presa.
“Il settimo sigillo” al Cinema Ritrovato 2018
Sono passati più di 60 anni (61 per l’esattezza, proprio quest’anno) da quella mitica decima edizione del Festival di Cannes che vide William Wyler vincere la Palma d’oro con La legge del Signore, ma che probabilmente oggi è maggiormente ricordata come la volta in cui Ingmar Bergman presentò il suo Medioevo surreale, grottesco ed epico insieme, in quello che sarebbe diventato il suo primo enorme successo: Il settimo sigillo. Tratto dal testo teatrale Pittura sul legno, scritto dallo stesso Bergman nel 1955 e del quale il film è un’emanazione, questo dramma dalla definizione esaustiva impossibile, in quanto trascende i generi e le interpretazioni e diventa oggetto a sé stante, irripetibile ed unico, detiene probabilmente il primo posto tra i film che fanno dell’atmosfera la vera protagonista.