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Drammaturgie folk in “Un tranquillo weekend di paura”
Se nel 1971 Sam Peckinpah in Cane di paglia continuava la sua sofferta meditazione sull’every man come macchina da combattimento in un mondo iniquo, il suo collega d’oltreoceano John Boorman si inabissava, un anno dopo, nel cuore di tenebra della middle class americana girando Un tranquillo weekend di paura. Poco importa che avrebbe dovuto esserci “l’ultimo westerner” a realizzare il film tratto dal romanzo omonimo di James Dickey, poiché il cineasta britannico non sfigurò e ne fece uno spericolato tuffo nell’ignoto.
“Un tranquillo weekend di paura” e il corso della natura selvaggia
Anni prima che l’ecologia fosse riconosciuta come tema di rilievo per la comunità mondiale, il Lewis Medlock di John Boorman si lancia in una triste considerazione sul destino del fiume Chatooga, in procinto di essere cancellato con la costruzione di una diga. Il rapporto con la natura che costituisce il cardine di Un tranquillo weekend di paura è però molto più complesso della semplice propaganda ecologista: la comunione con il mondo naturale, cercata più o meno consciamente dai quattro amici nella gita in canoa, non rivela una vita più semplice e pura ma gli orrori della lotta per la sopravvivenza.