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“Il sindaco del Rione Sanità” di Mario Martone a Venezia 2019
Autore che nell’ultimo decennio si è dedicato al ripensamento del nostro passato tra storia risorgimentale e rivoluzioni culturali mancate, Mario Martone torna per il secondo anno consecutivo in concorso a Venezia con un film che in apparenza si distacca radicalmente dalle sue ultime prove. In una certa misura, tuttavia, Il sindaco del Rione Sanità potrebbe anche essere letto come un’appendice a quella ricerca del tempo perduto condotta in questi anni dal regista. All’origine, infatti, c’è il testo scritto nel 1960 da Eduardo De Filippo, incardinato sul ritratto di un personaggio che ben esprime un certo orizzonte sociale legato a un altro secolo: il capo che si è fatto da solo e interviene dove la giustizia ufficiale nulla può. L’aggiornamento anagrafico dei personaggi, dovuto al legittimo desiderio performativo di un Di Leva assai calato nella parte fino ai limiti del gigionismo, forza il testo nell’ambito di un’operazione che intende contaminare il classico con l’estetica, il décor, i colori di Gomorra. Nessuno è intoccabile, se si adatta Shakespeare perché non si dovrebbe mettere mano a Eduardo? Ma – e qui sta il problema – se il racconto della criminalità nel Sindaco del 1960 trovava una sua dimensione nel mutamento della stessa camorra in quel periodo, con il tramonto dei guappi paternalisti forse legati solo alla mitologia locale, al Sindaco del 2019 – arrivato dopo molti o troppi film sul temi analoghi – si riesce a credere fino a un certo punto.
“Marito e moglie” e la nascosta grandezza
È un film nato quasi per caso, Marito e moglie. Movie-movie sul modello di L’amore di Roberto Rossellini, cioè due mediometraggi messi insieme in virtù di un largo tema comune, recupera un episodio, pensato da Eduardo per il collettivo italo-francese I sette peccati capitali e poi sostituito da un altro, e lo accompagna all’adattamento di un atto unico scritto dallo stesso commediografo circa vent’anni prima. Per l’occasione, la proiezione di Marito e moglie è stata anticipata proprio da Avarizia ed ira, lo sketch scritto e diretto da Eduardo per l’antologia sui vizi, quasi a voler costituire un ideale trittico sulla vita coniugale. Ma è Marito e moglie a sconcertare per nascosta grandezza.
“Filumena Marturano” al Cinema Ritrovato 2019
Raccontò Eduardo: “L’idea di Filumena Marturano mi nacque alla lettura di una notizia; una donna a Napoli, che conviveva con un uomo senza esserne la moglie, era riuscita a farsi sposare soltanto fingendosi moribonda. Questo era il fatterello piccante, ma minuscolo; da esso trassi la vicenda ben più vasta e patetica di Filumena, la più cara delle mie creature”. Filumena Marturano è la prima opera di Eduardo che ha per protagonista assoluta una donna e fu scritta per sua sorella Titina. Così Titina ebbe modo di creare una delle sue interpretazioni più riuscite, con una recitazione scarna ed essenziale, determinata e forte come il personaggio, dando vita ad una Filumena immortale, che combatte caparbiamente per ottenere un riconoscimento come donna, madre e moglie (e forse novella capofamiglia?) nella società patriarcale del 1916.
“Ragazze da marito” al Cinema Ritrovato 2019
Film divertente quanto scivoloso per una cattiveria ora esplicita ora no, sostanzialmente trascurato per l’assonanza ipotetica con tante commedie del periodo, Ragazze di marito accoglie il sapore agrodolce di Age e Scarpelli che, alle prese con un Eduardo messosi a disposizione del cinema per raccogliere soldi da investire nelle attività teatrali, lavorano intelligentemente tra l’adesione a certi topoi del commediografo (la crisi dei padri, le opposizioni delle mogli, i figli che vorrebbero emanciparsi…) e l’attenzione a quelli che sarebbero poi diventati alcuni dei loro temi forti. L’acido ritratto della famiglia, con la classica situazione dell’imprevisto arricchimento e la certezza del declassamento alla fine della parabola, costituisce l’occasione per metterne alla berlina le ipocrisie e le bassezze morali.
“Napoli milionaria” e la suggestione politica di Eduardo
Mentre il neorealismo è già nella sua fase calante, il maestro rifiuta il “teatro in scatola” (che, a dire il vero, ha sempre evitato) e sceglie di adattare la commedia, con Piero Tellini e Arduino Maiuri, non limitandosi più all’unità d’azione del basso dove abita la famiglia Jovine. Grazie alle scenografie di Piero Gherardi, Piero Filippone e Achille Spezzaferri, che inventano un set pieno di suggestioni realistiche senza dimenticare la peculiarità dell’origine teatrale, fa prendere aria al testo con riprese marittime oppure tese a raccontare la flora degradata dalla guerra. “Diario napoletano di cose accadute ieri, oggi… domani?” si legge sui titoli di testa, suggerendo una chiave di interpretazione proiettata allo scontro dentro l’arco costituzionale del dopoguerra.
“Napoletani a Milano” e la riscoperta di Eduardo cineasta
Napoletani a Milano è una variazione e al contempo la parafrasi semi-realistica di Miracolo a Milano, dove dei poveri cristi che alloggiano in una squallida borgata sono costretti a sloggiare perché un’azienda milanese vuole costruire una fabbrica al posto delle loro fatiscenti dimore (“non ci erano riusciti nemmeno i tedeschi!”). Siamo al principio del regno del sindaco Achille Lauro, con Napoli prossima al sacco edilizio e ancora immersa nelle macerie. Il cuore del problema è sempre quello della speculazione, ma, a differenza di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, De Filippo ha a disposizione Age e Scarpelli. E grazie allo sguardo di questi due geni dell’umorismo – sull’introduzione del cast, tra battute sul neorealismo e altri principi teorici, c’è la loro firma – dirige quello che è forse il risultato migliore della sua finora un po’ rimossa carriera cinematografica.
“Spara forte, più forte… non capisco” di Eduardo De Filippo al Cinema Ritrovato 2018
Nel 1966 De Filippo e Rota sono due professionisti affermati e di spicco nei rispettivi campi, Mastroianni è nel suo periodo d’oro di piena attività, e la Welch vive in pieno la sua parabola ascendente, tra gli esordi con Elvis Presley e la notorietà mondiale da sex symbol avuta con Un milione di anni fa. Eppure questo film paga forse proprio il fatto di sembrare troppo facilmente un’accozzaglia di personalità mainstream, messa insieme a suon di miliardi (di lire) per ottenere così quello che oggi chiamiamo “effetto blockbuster” al botteghino, cosa che, come risaputo, non era vista di buon occhio dalla critica, e che comunque non avvenne.