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Netflix e la paura dell’infinito

Netflix si basa sui concetti di sovraccarico e illimitatezza. Concetti che oggigiorno vendono benissimo – poter avere tutto, più di quanto ci serva, in qualsiasi momento – ma che forse funzionano maggiormente con testi finiti, circoscritti, quantificabili, come sono appunto i film. Per testi così malleabili dal punto di vista della fruizione, legati alle abilità e all’investimento temporale dell’utente, la formula in abbonamento non rischia di essere inconsciamente angosciante? Li vogliamo davvero millemila giochi che possono durare ognuno millemila e più ore, sempre pronti all’uso? E se fosse infine l’utente, lasciato a se stesso, a cercare la propria via, a recuperare in autonomia l’opera tanto desiderata? In quel caso, il momento della fruizione potrebbe beneficiare dell’impegno investito per arrivare all’obiettivo. Come ai vecchi tempi.

I videogiochi e la spasmodica ricerca del realismo

Quando si parla di videogiochi, è opinione comune che la ricerca ossessiva del realismo possa ledere la dimensione prettamente ludica. Si tratta di un ragionamento probabilmente superficiale, eppure emerso più volte nel corso degli anni: come a dire “se pensi troppo alla potenza grafica rischi di sacrificare le meccaniche di gioco”. Il problema risiede in realtà nel tipo di esperienza che l’autore vuol proporre attraverso il mezzo interattivo, attraverso la tecnologia, l’unica in grado di catturare il senso di realtà e trasmetterlo ai giocatori.

“Ready Player One” e la rivoluzione nerd

Sarebbe bello sapere cosa ne pensano i cinefili di questa visione oscura che investe la loro più grande passione. Sarebbe bello, anche se a essere onesti le due scene di apertura e chiusura sono indicative: in quella iniziale tutti i cittadini sono immersi nei loro visori di realtà virtuale; in quella finale è il mondo di gioco a venir chiuso il martedì e il giovedì. Tuttavia, a pensarci bene, le due scene reggerebbero anche sostituendo i videogiochi con i film o, perché no, con i libri. In quel caso, probabilmente, cinefili e lettori storcerebbero il naso, noterebbero una stonatura rispetto all’aura tipicamente positiva che circonda cinema e letteratura. Se si tratta di videogiochi, invece, l’alienazione si dà per scontata. E invece no: i nerd dovrebbero ribellarsi allo stereotipo.

Mappe per orientarsi tra cinema e videogioco

La tendenza topografica degli ambienti immaginali cinematografici si piega alla rappresentazione di un agire, piuttosto che alla solidificazione di una cornice: lo spazio non viene più inquadrato come limite o come “contenitore” ma al suo interno ci si muove di continuo, spesso freneticamente. Esso viene trasceso pur mantenendo la propria centralità: è il caso del recente Madre! di Darren Aronofsky, in cui l’abitazione (fulcro concettuale del film) viene sì inquadrata a più riprese dall’esterno, ma al tempo stesso (dall’interno) diviene un crocevia ineffabile in cui sono la protagonista e il suo spostamento a situarsi insistentemente al centro della scena. Al suo fianco, lo spettatore percorre continuamente delle distanze: incapace di soffermarsi su soglie o geografie e in grado solo di attraversarle.

Cosa rimane della morte: il viaggio di Edith Finch

What Remains of Edith Finch (Giant Sparrow, 2017) è un videogioco d’avventura in prima persona, quel che in gergo videoludico viene definito walking simulator. È interessante esaminare quanto l’opera di Giant Sparrow propone, soprattutto dal punto di vista della riflessione immaginale: il titolo arriva a iscriversi infatti in un dibattito che si chiude sul dominio del visuale passando, significativamente, per quello interattivo proprio della testualità videoludica. Che cosa accade alla tanto discussa “morte delle immagini” quando esse da piatte si fanno pervasive, quando da osservabili si rendono “agibili”, quando dal paradigma di osservazione/interpretazione si passa al processo interattivo/manipolativo?

Blade Runner e l’Altro videoludico

L’universo Blade Runner sviluppa anche in campo videoludico: se nella fantascienza distopica di Dick l’alterità irriducibile è quella del robot antropomorfo, nell’ambito dell’interattività si arriva a parlare di Altro, banalmente, quando si ha a che fare con un nemico. E lo sviluppo della testualità videoludica si muove proprio in una crescente profondità del nemico, in un suo sempre più spiccato ed evidente spessore.

In principio era la scimmia

Il trattato di Darwin L’origine della specie parla chiaro, nonostante la riluttanza di scienziati, filosofi e teologi dell’epoca. Non esiste una vera e propria discendenza diretta, ma l’uomo e lo scimpanzé hanno avuto un antenato in comune vissuto tra i quattro e gli otto milioni di anni fa. Le conclusioni darwiniane pongono l’uomo come ultimo tassello dell’evoluzione, un essere superiore, il Sapiens che ha vinto in partenza la battaglia con l’altro concorrente, destinato per sempre a rimanere un gradino in basso. La scienza non lascia scampo alle scimmie ma il cinema e il videogioco raccontano la storia di un’evoluzione diversa che si muove tra liane di pellicole e giungle di pixel.

Cronache di un mostro chiamato Lovecraft

In occasione dello Svilupparty 2017, la festa degli sviluppatori italiani di videogiochi, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con i ragazzi di PsychoDev, autori di Chronicle of Innsmouth, avventura grafica ispirata alla mitologia lovecraftiana.

L’editathon videoludico

Una maratona di scrittura per contribuire alle voci di Wikipedia. Si parte dai videogiochi, ma il cinema è dietro l’angolo.