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“Capri-Revolution” tra realismo e idealismo
Capri-Revolution è un film coinvolgente che, con delicatezza, porta a chiedersi dove sia la linea di confine tra realismo e idealismo. Se la realtà sia ciò che si vede, o ciò che si sente. E se siamo ancora in grado di ascoltarci. “Gli uomini non sono al mondo con la vocazione di migliorarsi. Ma di diventare sé stessi”. Questa è la concezione di amore che traspare dal film: l’essere in grado di accogliere l’altro e sé stessi in tutto il proprio essere. Una libertà che da sempre è il desiderio più profondo della protagonista. Una donna che è uno spirito libero. Che non si ferma, ma volge sempre lo sguardo all’orizzonte. Una figura di forza e indipendenza in cui noi tutti, forse, vorremmo rispecchiarci. E se Capri- Revolution è riuscito a raccontarci l’essenza vera della libertà, riuscire a raggiungerla resta un’arte che solo noi siamo in grado di creare. D’altronde, basta trovare la giusta ispirazione.
Il cinema come lutto iniziatico in “Capri-Revolution”
Ogni film di Martone è mosso da un trauma, una tragica morte, un lutto iniziale e iniziatico. La natura è la spettatrice privilegiata di questo terremoto interiore, nonostante si tenti di domarla e di controllarne la dirompente forza. “Tengo ’o cardillo”, risponde un uomo che viaggia con un cardellino in gabbia alla richiesta di andare a combattere in Noi credevamo (2010), l’uccello addomesticato è appartenuto alla moglie, e come nella novella di Luigi Pirandello Il gatto, un cardellino e le stelle, la personificazione di una perdita spinge il protagonista ad elevarla quale oggetto di venerazione. La difesa della Natura non è altro che guardare a un miglioramento ponendosi come parte integrante dell’insieme naturale; un altro cardellino compare nella scena finale di Capri-Revolution, e lo stesso accade ne Il giovane favoloso, Leopardi si reca da un sarto che ne tiene un esemplare sul bancone: “Il canto del vostro cardellino sembra un riso. Non è mirabile come l’uomo sappia ridere infelice com’è?”, si chiede il poeta, “Per fortuna a volte gli uomini sanno dimenticare se stessi”, gli risponde il sarto.
“Capri-Revolution” di Mario Martone a Venezia 2018
Ispirato all’esperienza della comune caprese del pittore Karl Diefenbach, Capri-Revolution mette nel titolo, accanto al nome dell’isola, un termine titanico. Non allude alla rivoluzione preparata dagli esuli russi, accolti dal medico troppo razionale per dare retta allo spiritualismo degli artisti. Non allude nemmeno alle attività della comune, sempre un po’ sospese tra sperimentalismo utile per fondare qualcosa di meno estemporaneo e pretenziose esotismmi decontestualizzati e piegati alla lettura del leader. Allude piuttosto al percorso di Lucia, in principio schietta e chiusa analfabeta, figlia del popolo e della natura, che coglie nella comune la possibilità di intraprendere un percorso di (ri)nascita personale, la presa di coscienza di un corpo che si pone in opposizione a ciò che pretende il suo mondo di appartenenza, la vocazione alla conoscenza per mezzo dell’ascolto dei sensi.