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“L’abbaglio” del popolo italiano
L’intento del regista ricorda intellettualmente quello compiuto nel saggio Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824) di Giacomo Leopardi, dove il filosofo tratteggia – senza troppo delicatezza – il carattere opportunista che contraddistingue l’allora inesistente popolo italiano. Nel film, questo disvelamento viene filtrato in maniera edulcorata proprio dal nucleo comico che si costituisce in Domenico e Rosario.
“La stranezza” e le zone d’ombra pirandelliane
Il regista siciliano deve aver intuito che il compito del cinema non è soltanto ricostruzione filologica o calco esatto di oggetti ben definito, ma anche evocazione, atmosfera e bugie a fin di bene. La stranezza è il filler di una zona d’ombra che fa dello spirito il suo obiettivo, liberandosi della pesantezza e degli ostacoli dell’adattamento. Non c’è arma migliore del tradimento per ottenere un risultato un risultato fedele all’originale. La narrazione si concentra sulla commistione di arte e vita, una cifra centrale nella produzione di Pirandello.
“Una storia senza nome” di Roberto Andò a Venezia 2018
I sei film di Roberto Andò si somigliano tutti tra loro. Raccontano un mondo borghese, elitario, colto, dove i libri vengono ostentati nelle librerie in salotto ma non si perde occasione per dare prova di averli anche letti. Capiti? Forse, sicuramente citati. Le citazioni sono il sintomo di una cultura masticata, magari introiettata, al contempo estrapolata, decontestualizzata, resa altra. In Una storia senza nome si cita molto, troppo, di continuo. Quando Laura Morante, ghostwriter per il ministro dei beni culturali, ricicla una massima di Shaw per accontentare il politico bisognoso di mettersi in mostra con un omologo straniero, Andò conferma il cliché del suo cinema sfacciatamente letterario, a tratti incredibile per il mancato affrancamento dalle secche del libro stampato.