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“Il bandito della casbah” onirico oltre il realismo
È impossibile non rimanere affascinati da questa figura di malvivente fragile che sogna di ritornare in patria insieme alla donna che ama e questa è un’altra peculiarità non banale del film, anche se largamente condivisa con altri film del “realismo poetico” come Il porto delle nebbie (1938) e Alba tragica (1939), sempre con Gabin: il suo spingerci a empatizzare con un personaggio, che, più che un criminale, sembra un senza terra, e più che dalla polizia, appare essere braccato da un destino incombente.
Jean Gabin, tra femmineo e realismo poetico
In effetti, nonostante La vergine scaltra, in cui sembra che i dialoghi rechino l’impronta del sodale di Carné, Jacques Prevert, all’epoca però convalescente, segni una svolta nella carriera stilistica di Carné, l’impressione che si ha guardandolo è che filmi i suoi attori lasciandoli andare, lasciando che la vita svolga il suo corso, dispiegandosi senza una fine definitiva. C’è del realismo in entrambi i film, o anche delle tracce di realismo poetico, se pensiamo al film di Clément, la cui storia è incentrata su un personaggio che rimanda all’idea di eroe tragico, il quale è continuamente destinato a essere sconfitto dal fato. In Le mura di Malapaga emerge inoltre volontà di portare sullo schermo la dura vita del proletariato, considerando il modo in cui viene rappresentata la quotidianità della cameriera Marta e di sua figlia.
“Il bandito della Casbah” al Cinema Ritrovato 2019
È questo contrasto il tema cardine del film: la dicotomia tra volere e potere, tra libertà e prigionia, tra dentro e fuori, tra realtà e apparenza. A mano a mano che il film procede, diventa infatti sempre più chiaro come sia la stessa personalità di Pépé ad essere scissa in due. In un mondo dominato da personaggi ambigui (l’ispettore Slimane, l’informatore Régis), Pépé non può che incarnare il massimo dell’ambiguità: il merito per il raggiungimento di tale vertice, oltre alla sceneggiatura di Julien Duvivier, Jacques Constant e Henri Jeanson, va attribuito in egual misura al regista e all’interprete.