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“Il lavoro” (di Visconti) e le sue contraddizioni
A livello formale, un lungometraggio formato da diversi episodi è già una contraddizione in termini, ma, rimanendo nei confini de Il lavoro, non si può non evidenziare come la forma del kammerspiel scelta per l’episodio sia di impianto profondamente teatrale. Inoltre, se Visconti tende inizialmente a leggere la sua opera come un giudizio morale su un certo tipo di donna moderna, la macchina da presa racconta un’altra storia che si fonda sull’ammirazione per Romy Schneider, colta in tutta la sua luminosità artistica. Le inquadrature sono spesso condivise da Schneider/Milian, con movimenti di macchina a stringere su entrambi a sottolinearne la posizione paritaria.
Sentire il tempo. “L’amante” di Claude Sautet
Oggi è difficile immaginare un cinema come quello di Claude Sautet che si reggeva su una capacità di osservazione disarmante e sulla forza di sequenze che fluivano senza una direzione o un obiettivo definiti, con dei personaggi che sembravano quasi dimenticare di essere davanti a una macchina da presa. La durata di una sequenza o di un campo controcampo è sempre qualcosa di importante ai fini dell’etica/estetica del cineasta. In questo senso, potremmo definire suoi epigoni proprio Kechiche, Garrel o Dumont (e Bresson prima di tutti), per l’appunto tutti autori che hanno fatto proprio il senso e la complessità della durata non come esercizio di stile ma come mezzo per acquisire limpidezza.