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Demolizione dello spazio narrativo. Rivedere “Un chien andalou”

la logica onirica di Un chien andalou è solo un pretesto. Non un escamotage per spalancare le porte alle infinite possibilità della mente, ma per chiuderle in faccia alla ricerca ossessiva di una spiegazione psicologica, razionale, antropologica, o più genericamente “culturale”, nel senso tyloriano del termine. E più che sigillarla, socchiuderla, quella porta, quasi a voler aspettare il momento giusto per stringere violentemente una mano nello stipite. La lama che nel racconto ambisce a tagliare l’occhio a Simone Mareuil non vuole lasciare spazio ad altro che alla violenza stessa della scena. E la didascalia del “c’era una volta” cede il posto a “otto anni prima”, “alle tre del mattino”, “in primavera”, in modo che la mente dello spettatore non abbia il tempo di rimandare l’immagine ad altro.