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“Freaks Out” tra disincanto e grandiosità

Cinema al grado massimo di accessibilità e al grado zero di snobismo, che ama il genere e cerca in ogni modo possibile di farlo amare a chiunque, Freaks Out è grezzo come Jeeg, come lui meravigliosamente inesatto e storto, come lui disposto a sporcarsi le mani e ad evitare le facili soluzioni, eppure la grandeur produttiva e la luminosità narrativa finiscono purtroppo per anestetizzarne le emergenze, ne mimetizzano il cuore e la natura, come se questa volta i supereroi parlassero in dialetto romano non perché sia credibile e giusto per dare finalmente una prassi tutta nostra al cinecomic, ma piuttosto perché risulta simpatico: non sembra più, insomma, una questione identitaria ma di puro divertimento.

Spropositata fame di grandezza. “Freaks Out” e il futuro del cinema di genere

L’autorialità di Mainetti si conferma nel saper concentrare toni provenienti da disparate tipologie di cinema mainstream e condensarle in un prodigio dalla spropositata fame di grandezza, riuscendo però a trarne il meglio senza lasciarsi travolgere da essa. Questi i meriti artistici di un lungometraggio il cui valore non si risolve però entro i limiti testuali; perché al di là di essi Freaks Out si conferma in ottica industriale quel miracolo da tempo auspicato, assurgendo a ruolo di irrinunciabile punto di rifermento per chiunque d’ora in poi vorrà produrre, scrivere e dirigere film d’intrattenimento in questo paese.