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“Licorice Pizza” speciale III – L’ottimismo cinematografico di Paul Thomas Anderson
Licorice Pizza trova quel senso del cinema sublime, di singoli attimi che fanno esplodere mondi di sentimenti; un cinema di semplicità e fermezza dove i gloriosi piani sequenza ci sono ancora ma sono uno strumento tra i tanti con cui fare respirare l’intensità degli interpreti, costante imprescindibile della sua filmografia. Quella materia nascosta dietro il visibile è allora una profonda nostalgia che vive e respira attraverso i suoi personaggi. Con un inedito ottimismo di fondo Paul Thomas Anderson sigilla questi sentimenti con un abbraccio, rassicurandoci del fatto che nulla, per chi crede alle illusioni del cinema, potrà mai andare storto.
“Licorice Pizza” speciale II – Di fughe e di orizzonti
Questo è un film che fugge. Fugge, consapevolmente o no, da qualsiasi lettura teorica o spinta analisi critica. Fugge, volontariamente o no, da qualsiasi continuità narrativa, coerenza di sceneggiatura. Un film dove, come d’abitudine per Paul Thomas Anderson, nulla va oltre la propria essenza (ed esistenza) materiale (come quando Freddie Quell, in The Master, su richiesta di Lancaster Dodd, tocca in continuazione una parete di legno e una finestra non riuscendo mai a percepirne qualcosa “oltre”) e che nella sua precisa e devota fisicità sa creare un mondo che diventa sogno, un sogno che diventa realtà, che diventa cinema.
“Licorice Pizza” speciale I – La corsa incontro al tempo
C’era una volta a… Hollywood Licorice Pizza, catena di negozi di dischi della California del sud. E c’è oggi Paul Thomas Anderson, che festeggia il suo cinquantesimo compleanno dirigendo Licorice Pizza per tornare a tempi, luoghi e atmosfere della sua adolescenza, lui nato proprio intorno ad Hollywood, rivedere le insegne di quei negozi di vinili e fare del più sentimentale dei suoi film una celebrazione degli anni ‘70 di quella California, in risposta all’elegia tarantiniana del 2019 come Bastardi senza gloria rispose a Il petroliere negli anni 2000.