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“Animal House” e l’anarchia incoronata

Rivendendolo oggi, di Animal House si può dire che è a tutti gli effetti una pietra miliare, perché, oltre ad aver avuto troppe imitazioni e nessun degno erede, segna il momento più insubordinato e iconoclasta di una stagione della comicità statunitense che, frullando insieme i fratelli Marx e John Waters, poteva permettersi ancora di intendere “demenziale” come sinonimo di “politico”. Animal House è una fragorosa e pantagruelica satira dell’America wasp nonché farsa distruttiva delle aspirazioni liberal del paese più imperialista del mondo.

“Blues Brothers” film metafisico

Più che al “blues” strettamente inteso infatti, l’omaggio di Landis & Co è all’intero albero genealogico della musica black: accanto alle dodici battute (John Lee Hooker) troviamo jazz (Cab Calloway), rock n’ roll (il nomadismo razziale di Elvis) e soprattutto soul (Brown, Charles, Franklin), genere per eccellenza ricollegato alle matrici religiose del Gospel. Accanto al suo inarrivabile impianto comico-satirico, è proprio la capacità di Blues Brothers di implementare la forza di queste prediche fra sacro e profano a farne un’opera politica trascinante. Un’autentica vocazione, gridata ex pulpito in forma di canzone, all’impegno sociale e al multiculturalismo.

John Landis talks!

Durante l’incontro, Landis si è espresso in maniera precisa sulla situazione attuale dell’industria cinematografica, gravata dagli effetti della pandemia e dall’avvento dello streaming: “Visto il recente successo al box office di film come Top Gun, si può sperare che si possa tornare lentamente all’abitudine cinematografica della sala. Come regista penso che un film debba essere visto non sul telefono o sul computer, ma in un vero cinema, assieme alle persone. Il pubblico è una degli elementi più importanti dell’esperienza filmica, perché l’emozione è contagiosa, e il cinema è soprattutto un evento comunitario”.

In the Name of Soul. “The Blues Brothers” e l’abbattimento delle barriere

Ricca di una comicità rocambolesca e catastrofica, la pellicola si caratterizza però soprattutto per i cammei di grandi stelle della black music come James Brown, John Lee Hooker, Ray Charles, Aretha Franklin e Cab Calloway, irrinunciabili punti di arrivo e partenza per chiunque voglia approcciarsi alle sonorità afroamericane. Le loro esibizioni sono pietre miliari del cinema musicale tout-court: si pensi agli essenziali snodi narrativi rappresentati dai brani The Old Landmark, Shake A Tail Feather, Think o al virtuosismo vocale tipicamente nero di Calloway in Minnie The Moocher

In the Name of Soul: “Blues Brothers”

Pare una sfida titanica scrivere oggi di The Blues Brothers, ultimo grande musical contemporaneo, espressione di quella libertà tardo-adolescenziale del cinema americano tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, che recuperava la valenza ludica del linguaggio classico in una forma di grande gioco per adulti, primo sentore delle nascenti tendenze postmoderne. La scenografia urbana di Chicago, città natia del blues elettrico, si fece culla della contaminazioni culturali del Paese che, andando oltre le questioni politiche e sociali interne, diventano manifestazione viva del melting pot americano.

Venezia Classici 2017: “Tutto in una notte”

Quando Tutto in una notte arriva nelle sale, il nome di Landis brilla alto nello show system hollywoodiano: nonostante l’incidente avvenuto sul set di Ai confini della realtà, gli ultimi film del regista erano stati accolti caldamente dalle platee, come testimoniato dai generossissimi incassi di Una poltrona per due. Eppure, l’action comedy del 1985 godette di scarso successo presso pubblico e critica, segnando il primo flop di una lunga carriera.