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“Beau ha paura” in un’odissea con una vita in mezzo

Beau ha paura è un’odissea con una vita in mezzo (una nascita all’inizio e una morte alla fine). Il punto A è l’appartamento di Beau e il punto B è la casa della madre. Nel tragitto ci sono un’altra casa e un bosco. Poi dei senzatetto minacciosi, genitori apprensivi e compagnie teatrali espansive. I luoghi sono suddivisi con ordine e ritmo, il resto è un labirinto in cui tutto riconduce alla madre, ma rimanda sempre al protagonista.

“Beau ha paura” e l’esorcismo del trauma

Beau ha paura è senza ombra di dubbio un’opera sui generis, eversiva e visionaria, che non lascia indifferenti dopo la sua visione. Nonostante le fascinose trovate fotografiche o registiche e le performance attoriali, il film pecca di smodata ambizione. Di certo, Ari Aster rimane una delle voci più intriganti e innovative del cinema contemporaneo e chissà se dopo queste tre ore di puro esorcismo dei traumi, il cineasta verrà difeso o meno dal suo pubblico o se lo stesso assisterà totalmente inerme come quello dello stravagante tribunale nell’ultima sequenza dell’epopea psichedelica.