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La diva sfuggente. Novant’anni di Monica Vitti
Alle procaci bellezze del secondo dopoguerra Monica Vitti invero ha sostituito una fisicità inedita con forme longilinee e slanciate: le maggiorate fisiche che avevano imperversato con l’ondata del Neorealismo – dalle figure tragiche come Silvana Mangano e Lucia Bosè a quelle irridenti del filone “rosa” come Gina Lollobrigida e Marisa Allasio – cedono ora il passo a un corpo che rilancia l’occhio dello spettatore e che rivendica questioni di scottante attualità, dal delitto d’onore alla rivoluzione sessuale, dalla parità di genere alla riappropriazione dei diritti individuali.
Venezia Classici 2017: “Il deserto rosso”
Fin dalle sequenze e inquadrature d’esordio, Antonioni sottende un parallelismo tra due vicende, quella della giovane Giuliana e del divenire – che, in realtà, è più un involversi che evolversi – della borghesia italiana settentrionale. L’espressione di Monica Vitti è il volto dell’angoscia di Giuliana, sentimento inteso nei termini di una destabilizzante vertigine nei confronti delle infinite possibilità dell’esistenza: non c’è data una spiegazione rispetto alle ambiguità umorali della donna, se non per la menzione a un incidente che l’avrebbe poi rinchiusa in una clinica.