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Fotografare e sparare tra Don De Lillo e Alex Garland

Lo scatto e lo sparo, in Civil War, sono risposte equivalenti a una stessa situazione. Le strisce di pellicola di Jessie mostrano corpi distesi, uomini accovacciati e sanguinanti in inquadrature esteticamente bellissime, ma che non significano quasi più niente. Cosa dovremmo fare di quei corpi? E, come già a Don DeLillo, viene da chiedersi: dovremmo forse congratularci con loro per aver preso parte alla soddisfazione fotografica? Civil War si limita a scattare una foto al futuro, ma non dà altre risposte.

Le immagini sopra tutto. Intorno ad alcuni film contemporanei

Sono solo immagini. Non nel senso che sono semplicemente immagini – ovvero che c’è un mondo là fuori che esiste indipendentemente da esse – ma nel senso che sono soprattutto immagini. Se il cinema si è fatto teoria, in questi mesi, lo ha fatto seguendo questa idea, facendo emergere lo statuto dell’immagine non come qualcosa che vale la pena rincorrere nonostante un contesto sfavorevole o addirittura irrappresentabile, ma immagini che si producono e rincorrono indipendentemente dal contesto.

“Civil War” e gli ultimi fuochi della democrazia  

Che siano Vietcong, terroristi islamici, concittadini civili o presidenti, quando i caduti diventano prede, come accade in guerra così come nel documentarla, rughe, sorrisi, rigurgiti e paralisi si fanno indecifrabili e aprono a plurime interpretazioni sulla natura umana e sul futuro che questa è in grado di desiderare e costruire. E l’interpretazione di Garland, pur non definitiva, non prelude alle magnifiche sorti e progressive.