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“Les Parapluies de Cherbourg” o il cinema stesso
Pur trattandosi di un’opera profondamente distante dagli stilemi del musical americano, Demy riprende alcuni stilemi del genere (basti pensare alla scenografie e all’uso del colore che ricordano i film di Vincente Minnelli e Stanley Donen), mettendo a punto una sceneggiatura in cui realismo e sogni creano un binomio inedito ed emozionante. Suddiviso in tre atti, il film è contraddistinto da una struttura narrativa del tutto simile al melodramma operistico con dialoghi recitativi e cantati in un fluire continuo che restituisce un pathos ancor più amplificato. Un intreccio semplice, ma ancor oggi capace di raccontare quel conflitto tra realtà e illusione che, dopotutto, è proprio del cinema stesso.
Il puro abbandono sentimentale di “La La Land”
Per concludere l’anno, torniamo a parlare di La La Land, uno dei film più amati dalla redazione, uno di quelli che hanno sublimato la storia del musical (di cui ci siamo tanto occupati, per varie ragioni, nel 2017), una delle opere che più mette in gioco la cinefilia e il cinema come sogno desiderante. Soltanto sospendendo per un attimo la realtà si comprende tutto il potere evocativo di La La Land, dove anche grazie alla colonna sonora di Justin Hurwitz si respira un’aria di assoluto abbandono sentimentale tra il rimpianto di ciò che è stato e non sarà più.
“Les Parapluies de Cherbourg”, felice ma straziante
Les parapluies de Cherbourg segna l’affermazione dell’eterea Deneuve, non frigida come in Repulsion né tanto ambigua o equivocamente sensuale nel caso di Buñuel: Demy crea un ritratto muliebre in apparenza ingenuo, ma dai toni fortemente cupi e drammatici, soffermandosi sulle disarmanti casualità esistenziali, sul tempo e quanto ogni forma d’affetto o amore umani ne dipendano. Da un punto di vista formale, si nota l’uso dei colori pastello accesi e dicotomici, nella scenografia e fotografia a cui anche Chazelle ha guardato moltissimo, considerando gli abiti di Mia e Genevieve o le tonalità delle mura domestiche.