Archivio
“K.S.E. – Komsomol” e l’inganno del mezzo-cinema
Guardando il film di Esfir’ Šub, torna alla mente una celebre frase di Lenin, presto diventata slogan e ripresa dallo stesso Stalin: “Il comunismo è il potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese”. Nella frase, così come nel film, l’elettrificazione è celebrata come l’innesco dell’avanzamento tecnologico e diventa una sineddoche per la spinta al progresso in genere. Esfir’ Šub sceglie perciò un argomento-chiave per cogliere il clima da “cinque in quattro”, quello del primo piano quinquennale. Tutto è energia e movimento: la pellicola scorre trascinando donne alla catena di montaggio, uomini e lampadine danzanti, scrosci di applausi e d’acqua di fiume.
“Mia nonna” e la folle satira sovietica
Tra il 1929 e il 1941, il regista georgiano Kote Mikaberidze realizzò meno di dieci film. Morì nel 1973, e proprio in quel decennio i cinefili riscoprirono il suo esordio: infatti, dopo una censura lunga più di quarant’anni, Moya babushka (tradotto è Mia nonna) riapparve nel 1976, ricostruito ed accompagnato da un nuovo commento musicale accostabile alle atmosfere del Charleston. A rivederlo oggi, sembra un oggetto indecifrabile, planato dal passato con la curiosa patente dell’opera pionieristica e, se non incompresa, comunque osteggiata da un regime indisponibile a scherzare sull’apparato.
L’americanismo di “In nome della legge”
l film di Kulešov, con sceneggiatura di Viktor Šklovskij, è tratto dal racconto The Unexpected di Jack London, autore notoriamente ossessionato dalla ricerca di una nuova frontiera. L’ambientazione lontana e il ricorso all’immaginario della natura selvaggia permettono una sorta di sovrapposizione culturale, poiché la tensione tra vecchio e nuovo che in Russia fa quasi un tutt’uno con l’arrivo delle idee rivoluzionarie (e permea, prima ancora che il cinema, la letteratura, almeno dalla seconda metà dell’Ottocento), con il concreto verificarsi della rivoluzione viene esasperata in una sorta di mitologia della tabula rasa, che con il concetto di frontiera ha qualcosa in comune – e che può forse fornire una lettura dello smodato interesse per i prodotti culturali d’oltreoceano.
Il comico desiderio di “Due amici, il modello e l’amica” di Aleksei Popov
Due amici, il modello e l’amica (1927) è la commedia con cui ha esordito al cinema il regista e attore teatrale Aleksei Popov. Un film che mette in scena lo schema strutturale classico del cinema post-sovietico, ma dotato di una particolare chiave comica che prova in alcuni casi ad inserire anche il dispositivo della disarticolazione degli attori su modello americano. I due amici però mettono in mostra non solo il loro forte legame amicale, ma anche il desiderio, fortemente esplicito in più occasioni. E come fossero gli Stanlio e Ollio del Volga non si perdono mai d’animo.
“Merletti” di Sergej Jutkevič e il realismo del desiderio
Continuiamo il nostro viaggio nelle avanguardie sovietiche. Merletti è il film d’esordio del regista Sergej Jutkevič tra i fondatori (insieme a Grigorij Michajlovič Kozincev e Leonid Trauberg) del movimento d’avanguardia, prima teatrale e poi cinematografico, FEKS (Fabbrica dell’attore eccentrico). Un movimento che ““pesca dal music-hall, dal circo, da tutto quanto è dinamico e “moderno”; insegnano ai loro allievi boxe e acrobazie e vogliono raggiungere “l’eccentrismo attraverso l’assurdo e l’impossibile” poiché “la vita chiede all’arte di essere iperbolicamente graffiante […]”” come ha scritto Goffredo Fofi in “Come in uno specchio”.