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“Senza tetto né legge” e la libertà come negazione
Da sempre affascinata dal tema della flânerie, di cui il vagabondaggio rappresenta certo una forma radicale oltre che più ambigua, Agnès Varda costruisce un personaggio sfuggente, Mona, ispirato a ragazze realmente incontrate all’inizio degli anni Ottanta, che avevano scelto di vivere la propria libertà in solitudine, sulla strada. Ne deriva un film che, come scrive Serge Daney, è “lacerato tra la voglia di comprendere (tutto) e la voglia di far (solo) vedere”. Nonostante l’apparente spontaneità delle riprese, sostenuta dalla fotografia disadorna di Patrick Blossier, Senza tetto né legge è un film estremamente artefatto, in cui la padronanza stilistica si cela in un voluto distacco documentaristico e in uno sguardo a tratti addirittura impersonale, come quando la macchina da presa registra gli spostamenti di Mona, assecondandola in un percorso controcorrente, ossia da destra verso sinistra.