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“Lo spaventapasseri” cinquant’anni dopo
Basterebbero i primi sette minuti del film (girati senza stacchi di montaggio a camera praticamente ferma) a esprimere la grande potenza di quest’opera e alla sua importanza nel cinema coevo: una figura in lontananza scende da un pendio, il contrasto è ad impatto fortissimo, tra lo sfondo del cielo (buio per l’approssimarsi di un temporale: attenzione non solo meteorologico, ma anche narrativo e quindi metaforicamente centrale) e una piccola collina, piena di grano di un giallo accecante, dove al centro si staglia un albero senza foglie.
“Paper Moon” 50 anni fa
Bogdanovich ci dimostra di poter usare il cinema per una riflessione diacronica e sincronica. L’anno prima di Paper Moon, il regista aveva diretta Ma papà ti manda da sola? sorta di remake di Susanna! (1938) e, nel 1971, in L’ultimo spettacolo aveva raccontato la fine di un certo stile cinematografico attraverso la sua stessa metafora spettatoriale. Questa caratteristica cinefila si manifesta in maniera ancora più deflagrante nella pellicola del 1973 dove la contrapposizione donna-uomo diventa momento di riflessione sulla storia del cinema e dell’intera società americana.
“Profeti” e il confine della gabbia
Alessio Cremonini, seppur abbandonando le carte testimoniali di Sulla mia pelle, realizza un lavoro (non tanto di finzione a pensarci bene) sempre su una vittima di sequestro, sempre forzata e deturpante. Ma mentre nel precedente lavoro il corpo lentamente si deteriorava, in Profeti è la mente a trasformarsi, il corpo diventa strumento di verbalizzazione, di parola divina, di scontro ideologico.
“Io vivo altrove!” e l’ecosostenibile leggerezza dell’essere
Il primo film di Battiston da regista è un prodotto quasi del tutto inedito nel panorama cinematografico italiano, inserendosi in una sorta di filone al limite della commedia agrodolce in salsa ambientalista e che fa della sua derivazione letteraria uno dei suoi punti di forza. Il soggetto infatti è adattato liberamente dall’incompleto flaubertiano Bouvard e Pécuchet, in cui due amici si avventurano in stravaganti e molteplici disavventure.
“Un bel mattino” e come vivere nel dolcissimo buio del ricordo
Il film sembra un enorme atto d’amore al cinema francese della Nouvelle Vague: c’è Godard (la protagonista sembra a volte, al limite della copia carbone in movenze, abiti e recitazione, richiamare la Jean Seberg di Fino all’ultimo respiro); c’è il montaggio peculiare di Due o tre cose che so di lei, ci sono Truffaut, Rivette e Rohmer (per il saper raccontare i drammi familiari e sociali senza peli sulla lingua), ci sono i corpi (nudi e sensuali) di Resnais e soprattutto c’è il continuo girovagare nelle strade (e città) francesi.
“Maledetto il giorno che t’ho incontrato” e benedetti questi trent’anni
Uscito nelle sale la bellezza di trent’anni fa, Maledetto il giorno che t’ho incontrato resta un film di fortissima attualità e, a detta di molti critici, studiosi e pubblico che recentemente hanno avuto il piacere di rivederlo proiettato in sala, ancora di potente impatto spettatoriale, drammaturgico, visivo. Il “mondo Verdone” stava iniziando, tematicamente, a concretizzarsi sempre di più e l’idea di un film che tirasse un po’ le somme era nell’aria. Non a caso questo film si pone quasi a metà di tutta la produzione verdoniana, come una sorta di spartiacque, di momento di confine nella filmografia di Verdone.
C’è troppa (poca) oscurità nel buio della rinascita
L’impressione è che nelle lunghe tre ore del viaggio nelle prime scorribande di Batman (anzi, The Batman, l’articolo del titolo è altamente significativo, quasi a indicarne allo stesso tempo singolarità e pluralità: di azione, di interpretazione e, perché no, di genere maschile/femminile) lo spettatore debba fare fatica a scrutare nell’ombra, con gli occhi sempre semichiusi, a cercare uno spiraglio, un movimento, un rumore. La luce è totalmente assente, se non per i lampioni notturni; mentre le stesse scene girate non in notturna presentano un cielo plumbeo, gonfio di nuvole grigie, che non danno scampo a nessun tipo di spiraglio.
“Il fascino discreto della borghesia” 50 anni dopo
Il fascino discreto della borghesia resta un film emblematico, seminale, lontano da ogni possibile (fin troppo semplicistica) catalogazione. Il film di Luis Buñuel, complice la sceneggiatura scritta a quattro mani con Jean-Claude Carrière (entrambi creeranno le basi per quello che sui può definire il “nuovo surrealismo cinematografico”) non è altro che un ritorno alle origini. Non solo a quel Un chien andalou (1929), folle esperimento che andava addirittura già oltre i dettami surrealisti, diretto e interpretato insieme a Salvador Dalí, ma anche e soprattutto a una sorta di esplosione metaforica (visiva e narrativa) del successivo L’ âge d’or (1930).
Storia di triadi imperfette. “After Love” non è (solo) una questione di inclusività
Qualcuno (sbagliando a parere di chi scrive) potrebbe chiedersi: ancora un film sulla questione dell’inclusività? O sulla tematica anglo-islamica? Eppure, a prima vista, è questa l’impressione che lascia After Love, esordio folgorante dell’ anglo-pakistano Aleem Khan. Dopo aver fatto man bassa di premi con il suo terzo cortometraggio, Three Brothers (del 2014 e che ha diversi punti in comune con After Love, se non fosse per la struttura drammaturgica), passando al lungometraggio il regista ottiene ben cinque vittorie ai British Independent Film Award come miglior film indipendente, regia, sceneggiatura, attrice protagonista e attore non protagonista.
Il ritorno transmediale alla Matrice – “Matrix Resurrections” perché SÌ
Lana Wachowski (che sceneggia e produce insieme alla compagna Rita) decide di mettere in scena un vero e proprio apparato nostalgico, intenso nel vero e proprio senso etimologico del termine, come “ritorno”. Il ritorno alle origini, il ritorno ai personaggi, il ritorno a Matrix, il ritorno all’amore. Ma come ci si approccia, nostalgicamente, a una mitologia? Semplicemente distruggendola e rimodellandola e addirittura ironizzandola. È l’Anti-Matrice che prende totale consapevolezza del sé, in un rifacimento di immaginari e mitologie senza precedenti.