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“Gen_” e la medicina indorata

In opposizione al chiacchiericcio mediatico, Gen_ di Gianluca Matarrese decide di scendere in campo, di mostrare le pratiche concrete, ma affida l’intera scena a un padre affettivo, trasformando questo film d’attivismo in un trattato sul buon governo, con tutti i limiti che un tale discorso può sollevare, da sinistra, in questo periodo storico. Il film si accontenta di tracciare le linee del giusto e dello sbagliato per consolidare una propria posizione.

“A Different Man” nell’apocalisse delle convenzioni

L’opera basata sulla sua vita, kaufmanianamente, si apre, si espande, integra sempre più prospettive, elevandosi, come il film stesso, a lezione di relativismo, mentre l’omuncolo trumpiano, fallendo miseramente nell’adesione a questo nuovo mondo, trama nell’ombra una qualche forma di vendetta sociale. Il suo ripiegamento egoistico, letteralmente, finisce per schiacciarlo, in modo quasi cartoonesco, nell’unico attimo di reale ilarità che questa fallita marionetta sia mai riuscita a produrre.

“L’uomo nel bosco” speciale II – L’alternativa misericordiosa

Come nel Cielo brucia di Petzold, anche qui il protagonista assonnato è troppo preso dal proprio mondo per vedere la catastrofe planetaria in atto, ma piuttosto che ambientale qui la catastrofe è morale: è il vuoto d’amore che non si vuole riconoscere e che si cerca di colmare, per mascherarne la natura. In un estremo atto lirosofico, attraverso la finzione cinematografica, Guiraudie offre un’alternativa gratuita, misericordiosa, al proprio eroe riconnettendo verità di ragione e conoscenza d’amore.

“Grand Tour” speciale III – L’ultimo spettacolo alla fine dell’impero

In tempi più vergini di immagini, le prime riprese cinematografiche di terre esotiche rappresentarono per molti spettatori il primo sguardo su mondi lontani, accorciando le distanze, come già fece la ferrovia. Ma nel cinema di Miguel Gomes i binari narrativi che promettono di ricongiungere direttamente questi mondi sono inaffidabili, il treno è destinato al deragliamento, la narrazione alla divagazione.

“Blitz” teso verso il bene comune

A differenza di Nolan, è evidente che a McQueen non interessano i dubbi amletici del soggetto. Il montaggio non emerge da una psiche frastagliata, ma da una realtà frammentata, intrisa di divisioni e conflitti, su cui è essenziale prendere posizione. Per questo, il film si popola di figure talvolta monodimensionali, quasi caricaturali, eccessivamente sentimentali, ma che, nel momento della catastrofe, non si fermeranno nel panico a ponderare il bene e il male; si muoveranno, invece, per il bene comune, compiendo un gesto liberatore.

“The Beast” nella giungla del digitale

Se Coma era una lettera d’amore alla figlia isolata nella pandemia, The Beast è un melodramma che nella ritualizzazione scenica di una casa ritrova la possibilità di un’intrusione, di un incontro gratuito con l’altro. Ma lo ritrova soprattutto nell’incontro dello spettatore con il corpo di Léa Seydoux, nel patimento per il suo scontro corporeo con la rimediazione digitale, uno scontro che supera epoche per darsi ancora come seme del desiderio.

Il cinema al femminile alla Festa del Cinema di Roma 2024

L’edizione di quest’anno della Festa del Cinema di Roma sarà ricordata come un evento all’insegna del femminile. Non solo per i suoi vincitori (Bound in Heaven di Huo Xin nel concorso Progressive e Bird di Andrea Arnold ad Alice nella Città), ma soprattutto per un cinema al femminile inedito che si distacca dai messaggi urlati, dalle condanne generalizzate e dagli stereotipi post-patriarcali che frequentemente ci offrono le produzioni audiovisive, in particolare quelle delle piattaforme di streaming.

“Il seme del fico sacro” e il labirinto di un paese desertificato

Il seme del fico sacro tratteggia un passaggio epocale: la penetrazione di queste immagini negli spazi del potere grazie alle nuove generazioni iper-connesse, profondamente colpite dall’atrocità della violenza e sempre più insofferenti nei confronti di una spudorata propaganda televisiva che distorce la realtà. Il film stesso integra nel suo tessuto narrativo le immagini di rivolta non tanto per validare la finzione, ma per elevarsi alla loro altezza spirituale, per assumere la stessa funzione di arma della resistenza al regime.

“La bambina segreta” e lo spazio minato del mondo

È il regista-demiurgo a mettere in moto il meccanismo di inezie, a minare il set in cui si muovono gli attori, a disegnare l’apice della parabola drammaturgica nel confronto con il volto logoro del potere. A differenza però del successivo film del regista, Kafka a Teheran, il confronto si presenta non come un momento di liberazione, ma piuttosto come momento preparatorio. Se liberazione deve esserci, essa deve passare attraverso una presa di responsabilità personale.

“Racconto di due stagioni” nel gelo dell’utopia

Come suo solito, Ceylan trascina lo spettatore all’esperienza di una durata immergendolo in estenuanti disfide dialettiche e pittorici squarci paesaggistici, ma è solo attraverso questa pratica di attento ascolto e di osservazione contemplativa che qualcosa come una lezione può compiersi: così trascorsa la fredda stagione, camminando sulla secca erba falcidiata dal gelo Samet si renderà conto di aver sempre vagato nel deserto della sua anima.

Chiedi chi era Delphine Seyrig

Nella sua produzione video Seyrig giungerà alla cancellazione della sua immagine a favore della presentificazione in quanto voce. Sois belle et tais-toi! rappresenta la definitiva evasione dalla vetrina. Se in Golden Eighties l’approccio dialettico-materialista di fedeltà assoluta alla vita invetrinata lasciava intendere l’oscenità della melanconia femminile, qui il medesimo procedimento s’accorda alle singolari voci di attrici esasperate dalle condizioni di lavoro.

Case che crollano nel cinema siriano

Case che crollano, case infestate da zombie ronfanti. Nei primi due lungometraggi scritti da Ossama Mohammed (Stars in Broad Daylight, da lui diretto, e Al-Leil di Mohammad Malas), la casa, metafora della Siria, ha pareti fragili o mediocri padroni. Un dittico che può dirsi complementare sul centro vuoto del paterno a cui supplisce una ridicola deriva autoritaria, sulle storture di una società conservatrice e religiosa e sull’impotenza di trasformare lo stato delle cose da parte dei civili.

I corpi del cinema di Boris Barnet

Barnet rimane semplicemente fedele alla grazia che questi corpi sanno già da soli emanare. Che sia un anonimo viandante, un consumato contadino, un fulgente giullare o un solerte colosso, Barnet non vede differenze perché tutti quanti provengono da una stessa radice umana, da un medesimo impeto terreno, da un condiviso sguardo gentile verso il mondo e i suoi abitanti.

“Golden Eighties” tra vetrina e vertigine

Golden Eighties esibisce con lucidità dialettica la vetrinizzazione del mondo moderno costringendo lo spettatore a fare i conti con il proprio sguardo ormai sempre più esposto e ossessionato da schermi di vario genere e con i propri automatismi emotivi in una società iper-industrializzata caratterizzata dalla riproduzione seriale pressoché illimitata anche delle emozioni.

Il cinema di Harry Kümel nella notte dell’umano

Delphine Seyrig nelle vesti della draculea Élisabeth Báthory attraversa una notturna Marienbad in La vestale di Satana (1971). Il luciferino Cassavius di Orson Welles sul suo letto di morte invoca la luce in Malpertuis (1971). Il cinema vampiresco di Harry Kümel succhia il sangue dai maestri del meta-modernismo per dare nuova linfa a intramontabili divinità, a favole e racconti dell’orrore: erigere un monumento al desiderio di raccontare le eterne lotte tra la luce e il buio, tra l’amore e la morte.

“I delinquenti” alla conquista del tempo

L’arte della divagazione di Moreno sembra divergere sia dalla divagazione neorealista di un Miguel Gomes, così aperto alla meraviglia dell’imprevisto, sia dalla divagazione materialista dei suoi amici del Pampero Cine, sempre pronti alla rottura della quarta parete per ricondurre la divagazione all’interno del loro progetto didattico. Moreno non sa in realtà che farsene della campagna. È solamente interessato a disattivare il comando della produttività, a riscoprire un tempo improduttivo, che è quello proprio del cinema.

“May December” e la moralità dello zoom

Il senso non si produce quindi dall’enfatizzazione del dettaglio, ma dall’accostamento tra movimenti divergenti, come nei film rosselliniani girati con il Pancinor. Certo, in Haynes non c’è alcun progetto pedagogico, eppure è comune la valenza epistemologica affidata allo zoom in quanto strumento di investigazione dello spazio e focalizzazione dello sguardo per lo spettatore. La melodrammatica ricorrenza, sempre variata, dello zoom permette allo spettatore di imparare, solo grazie a espedienti formali, a connettere immagini apparentemente discordanti.

Dove l’eccesso è la norma – Speciale “Povere creature!”

Un giorno Dio creò l’uomo e fu il primo sguardo. Al suo meglio il cinema ci restituisce uno sguardo sul mondo come se fosse la prima volta che lo vediamo. In Povere Creature! l’identificazione con lo sguardo della “idiota” Bella Baxter permette a ogni nuova scena un’esperienza di questo tipo in una screwball post-umanista che si fa grande destrutturazione delle colonne portanti su cui si regge la convivenza umana: famiglia, denaro, matrimonio, identità, uomo, donna, Dio, umanità. Nulla può più rimanere stabile, tutto eccede e così si aprono nuove vie all’immaginazione.

“The Holdovers” a lezione di classico

Fin dai titoli di testa entriamo in un altro microcosmo, il cinema hollywoodiano anni ’70 di Ashby, Schlesinger, Schatzberg: impronta realista, colori desaturati, musica folk, suoni ambientali, lunghe dissolvenze, personaggi solitari, spigolosi, umani. Un cinema classico, i cui elementi sono facilmente identificabili. Ma non si tratta di mimare il classico, piuttosto di mettere in relazione questi elementi, farne un giusto uso.

 

“Il cielo brucia” nel terremoto della rappresentazione

In confronto al modello rohmeriano, lo sguardo spettatoriale rimane sempre leggermente laterale rispetto a quello del protagonista. Assiste al suo sonnambulismo ma con divertita ironia. Secondo Montaigne il compito di un artista non è descrivere l’essenza delle cose ma l’oscillazione tra le cose. È un passaggio in esergo a un saggio di Werner Hamacher sul terremoto della rappresentazione in von Kleist, saggio a un certo punto citato da Nadja all’editore di Leon. Anche lo spettatore prova questa oscillazione.