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“Non aprite quella porta” e la bellezza dell’orrore
Nonostante la saturazione di un “marcio” che corrompe ogni cosa, Non aprite quella porta riesce a lasciarci radiose immagini simmetriche e visioni di sovrumana astrazione. Pur spazzando via qualsiasi illusione di cinema in posa, falsità da Studio e gusto conservatore della bellezza, il regista inietta una nuova, oscena concezione del Bello che si esprime nelle albe funebri, nelle danze folli e astratte di Leatherface, nel viso insanguinato di Sally, con una radicalità di cui pochi oggi sarebbero capaci.
“Perfect Blue” e il cinema come infinita macchina dei sogni
Affine al potere rivelatorio di Bunuel e dei surrealisti, il cinema di Kon elude il senso razionale per lasciar emergere le densità dell’inconscio; i suoi film mettono al proprio centro la soggettività – dei personaggi quanto dello spettatore – e sovvertono i modi convenzionali della narrazione mediante ellissi, flashback, dilatazioni e contrazioni temporali. La realtà è elaborata da ricordi e immaginazione, acquisendo le forme del sogno.