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“The Dead Don’t Hurt” tra tradizione e modernità

Viggo Mortensen, a sessantacinque anni ma alla sola seconda prova da regista, dimostra una maturità artistica non comune, capace di muoversi tra tradizione e modernità all’interno di uno dei generi più codificati e, ormai, meno frequentati del cinema. The Dead Don’t Hurt è un’opera che attesta una coerenza artistica, per idee e loro realizzazione, di sicura maestria, in un momento storico in cui sovrabbondano i prodotti imprecisi, poco meditati e furiosamente dati in pasto al pubblico.

“Familia” tra sacrificio e castigo

Quella di Familia non è di certo una storia nuova o mai vista; tuttavia, è una storia, ahinoi, ancora molto radicata nella realtà e quindi ancora necessaria. Costabile mette lo spettatore di fronte alla distruzione, fisica ed emotiva, a cui la violenza domestica può condurre, oltre che alle conseguenze devastanti e ai danni irreparabili che tale persecuzione può provocare come in un tunnel in fondo al quale non si vede mai la luce.

“Il tempo che ci vuole” e il ritratto amorevole del padre

I ricordi e le esperienze personali, prima di farsi prodotto artistico, hanno spesso bisogno di un lungo arco temporale per fermentare e trovare le parole e le immagini giuste per farsi racconto e storia universali. È quello che è accaduto a Francesca Comencini nella realizzazione di un film che è un atto d’amore verso il proprio padre. Infatti, oltre alla regia elegante e ordinata, a investire lo spettatore è una emozionalità potente che scaturisce da un sentimento profondo per una figura paterna caratterizzata dalla gentilezza e dalla bontà.