Archivio
“The Sweet East” e il delirio collettivo americano
Ci sono tutte le caratteristiche per incastrarsi nello stereotipo dell’indie americano: un po’ coming of age, un po’ road movie, girato quasi interamente con macchina a mano, insistenza su inquadrature strette e primi piani, la solita fotografia di Williams e i dialoghi nevrotici su politica, relazioni, arte e cultura. Tuttavia, al di là di ironiche generalizzazioni, The Sweet East sembra prendersi davvero poco sul serio proponendo una satira sulle varie facce dell’America viste dalla prospettiva di un’adolescente della Gen Z.
“Captain America: Brave New World” e il paradosso fumettistico
Captain America: Brave New World, il titolo sembra quasi una dichiarazione d’intenti e d’altro canto c’era già Deadpool l’anno scorso a sbeffeggiare la crisi nella Casa delle Idee. Peccato che nonostante il film risulti piacevole e decisamente più quadrato rispetto alle ultime uscite (fatta eccezione per Gunn e i suoi Guardiani), il mondo qui presentato ha poco di coraggioso e nulla di nuovo. Sembra una dichiarazione d’intenti proprio perché si è tanto parlato in questi anni di “superhero fatigue” e considerando che la concorrenza ha sempre faticato a imporre i propri supereroi si fa prima a dire “Marvel fatigue”.
“Babygirl” e la commedia travestita da thriller
Babygirl sembra quindi voler parodizzare le dinamiche classiche del rapporto capo-assistente, nel tentativo di sdoganare quelle che vengono percepite come “perversioni” sessuali, oggi non più materiale da thriller, ma elemento comico. La dura e robotica donna, incastrata nei suoi ruoli (madre modello/ moglie perfetta/ inscalfibile leader aziendale), impara il piacere della vulnerabilità da persone più giovani, che crede invece di dover proteggere.
“A Complete Unknown” e il rifiuto di dare spiegazioni
Non importa sapere chi sia davvero Bob Dylan, che cosa abbia fatto nella vita, o come sia diventato ciò che è (e guai a chiedergli da dove vengano le sue canzoni): il punto è proprio l’inafferrabilità. A maggior ragione, una volta raggiunto un certo status, una volta che il ragazzino diventa Dylan, il personaggio inizia a nascondersi. Indossa quel paio di occhiali quasi fossero il cappello di Clint Eastwood nella trilogia del dollaro
“Wolf Man” e il peso dell’eredità
Questa volta è proprio l’orrore a essere carente e pur riuscendo a raccontare una storia straziante, nelle sequenze prettamente horror sembra mancare l’ispirazione, ricorrendo ai soliti canonici jumpscare e le classiche fughe dell’ultimo minuto, troppo prevedibili per avere un reale impatto. Ciononostante, Whannell si dimostra ancora una volta originale nel rapportarsi ai classici e nel suo stravolgerli, in un film che fa del rapporto con l’eredità culturale lasciata dai padri la sua tematica centrale.
“Here” speciale III – Il rapporto con lo spazio e con il tempo
Il film sembra invitarci a spostarci da “qui”, uscire di casa, consapevoli che la nostra conoscenza non è che una traccia di quanto ci resta da scoprire. In relazione al cinema la sperimentazione potrebbe essere vista allora come un primo tentativo e se non possiamo ancora definirlo un passo avanti, Zemeckis sta certamente puntando il dito fuori dalla porta. In fondo, c’è un’unica direzione in cui stiamo andando.