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Mario e Charlot: due icone a confronto
Charlot e Mario sono stati al centro di un passaggio epocale che ha coinvolto i rispettivi media di appartenenza. Due icone rappresentative di due visioni del mondo a prima vista superate dal progredire della tecnica. Charlot e Mario sono simulacri assurti alla dimensione di icone, creati ad hoc da due autori, Charles Chaplin e Shigeru Miyamoto. Uno nato a Londra alla fine dell’Ottocento, l’altro vicino a Kyoto nel 1952. Se è sicuro che Chaplin non abbia mai giocato a una delle avventure di Mario, è invece assai probabile che Miyamoto abbia visto, da ragazzo, alcune delle comiche di Charlot. Interrogato a tal proposito, Miyamoto ha negato qualsiasi forma di ispirazione a Charlot durante la creazione del personaggio di Mario. Eppure, quelle corse segnate da cambi di direzione così prossemicamente marcati, l’immancabile calcio nel sedere al bruto di turno, o ancora quelle sessioni di aggraziato pattinaggio, sono tutti piccoli dettagli che accomunano i nostri beniamini.
Netflix e la paura dell’infinito
Netflix si basa sui concetti di sovraccarico e illimitatezza. Concetti che oggigiorno vendono benissimo – poter avere tutto, più di quanto ci serva, in qualsiasi momento – ma che forse funzionano maggiormente con testi finiti, circoscritti, quantificabili, come sono appunto i film. Per testi così malleabili dal punto di vista della fruizione, legati alle abilità e all’investimento temporale dell’utente, la formula in abbonamento non rischia di essere inconsciamente angosciante? Li vogliamo davvero millemila giochi che possono durare ognuno millemila e più ore, sempre pronti all’uso? E se fosse infine l’utente, lasciato a se stesso, a cercare la propria via, a recuperare in autonomia l’opera tanto desiderata? In quel caso, il momento della fruizione potrebbe beneficiare dell’impegno investito per arrivare all’obiettivo. Come ai vecchi tempi.
“Ready Player One” e la rivoluzione nerd
Sarebbe bello sapere cosa ne pensano i cinefili di questa visione oscura che investe la loro più grande passione. Sarebbe bello, anche se a essere onesti le due scene di apertura e chiusura sono indicative: in quella iniziale tutti i cittadini sono immersi nei loro visori di realtà virtuale; in quella finale è il mondo di gioco a venir chiuso il martedì e il giovedì. Tuttavia, a pensarci bene, le due scene reggerebbero anche sostituendo i videogiochi con i film o, perché no, con i libri. In quel caso, probabilmente, cinefili e lettori storcerebbero il naso, noterebbero una stonatura rispetto all’aura tipicamente positiva che circonda cinema e letteratura. Se si tratta di videogiochi, invece, l’alienazione si dà per scontata. E invece no: i nerd dovrebbero ribellarsi allo stereotipo.
L’editathon videoludico
Una maratona di scrittura per contribuire alle voci di Wikipedia. Si parte dai videogiochi, ma il cinema è dietro l’angolo.
(This Is a) Meta Game
Metacinema è cinema che parla di se stesso. Sull’argomento si sono spesi fiumi di parole, inchiostro e pixel. Si esordisce quasi sempre con Effetto notte di Truffaut, si fa una capatina dalle parti di 8 e mezzo di Fellini e si arriva ai giorni nostri con The Artist o Hugo Cabret. Gli esempi si sprecano. È cinema che riflette sui propri meccanismi, li rivela e denuda di fronte alla macchina da presa, cinema che si autocita e che sollazza gli spettatori. Difficile rimanere insensibili al fascino del meta, al cinema come nei videogiochi. E di videogiochi meta ce ne sono, solo che sull’argomento non si sono (ancora) spesi fiumi di parole, inchiostro e pixel.