In onore dell’evento Art City, anche i cinema parlano d’arte: l’Odeon, in collaborazione con Biografilm Festival, ha proposto la Censored Art Night 2015, una maratona di film che raccontano artisti in lotta con il proprio paese e con la censura. E’ l’occasione per riparlare di Ai Weiwei Never Sorry di Alison Klayman. Il film, come noto, segue la vita dell’omonimo artista e attivista cinese. La sua arma è twitter, i social media, l’arte e la carta stampata: esserci, dimostrare, farsi vedere e utilizzare la sua posizione d’artista come punto di forza per denunciare. Secondo il critico Hans Ulrich Obrist, il suo blog, attivo dal 2006 al 2009, è “una delle grandi sculture sociali del nostro tempo”.
Figlio del noto poeta Ai Quing, Ai Weiwei si forma a New York, dove respira aria di possibilità. Rientra in Cina, a Beijing, dopo i fatti di piazza Tienanmen e vuole essere artista liberamente, in un paese dove la libertà d’espressione non è gratuita e men che meno scontata. Nel 2008, mentre Pechino si prepara ai giochi olimpici, Weiwei li boicotta pubblicamente, condannando il regime e lanciando pesanti invettive attraverso il blog. Celebre la sua serie di foto Study of perspectives, in cui alza il dito medio davanti ai monumenti del nostro tempo: piazza Tienanmen, la Casa Bianca, la torre Eiffel.
Un altro fatto che scuote la sua coscienza è il disastroso terremoto del Sichuan nel 2008: l’artista si mette sulle tracce degli studenti morti nel disastro, su cui la Repubblica popolare cinese non ha alcuna intenzione di far luce. Con un gruppo di volontari radunati grazie ai social media, pubblica a distanza di una anno dalla catastrofe i nomi e le date di nascita di 5.212 studenti morti. Questo atto gli costa la chiusura del blog e delle telecamere di sorveglianza fuori casa. Sfrontato, coraggioso, arrabbiato, Ai Weiwei non si ferma: firma il manifesto Charta 08, volto a promuovere una serie di riforme politiche per la democratizzazione, ha non pochi problemi con le autorità, che lo trattengono e lo picchiano per impedirgli di testimoniare al processo contro l’attivista politico Tan Zuoren. Nel 2011 scompare, rapito e trasportato non si sa dove per 81 giorni.
Una sequela di vicende travagliate, una vita che si trasforma in battaglia dura e necessaria. Il film, dal sapore documentaristico, procede a tratti, senza avere un filo cronologico preciso e definito. Segue l’artista, uomo riservato e dalla voce calma, che come una colonna continua a stare fermo nella sua casa di Beijing, circondato dai suoi gatti, da amici e familiari, sorvegliato, a pensare e agire tramite i media. Una coraggiosa saggezza quella di Weiwei, che l’ha reso una figura incredibilmente amata e quasi intoccabile: basti pensare alla sorprendente mobilitazione del mondo dell’arte e delle istituzioni e alla gente scesa in piazza per invocare il suo rilascio.
Nominato l’artista più potente del 2011, Ai Weiwei è soprattutto un comunicatore sapiente e determinato che nel web trova l’arma più affilata ed incisiva per farsi sentire. Spaventato dall’abuso di potere del regime, trasforma la paura in azione necessaria. Il film, forse inevitabilmente, tralascia il processo creativo che dà vita ai lavori più artistici di Weiwei (fatta esclusione per una delle opere più celebri installata nella Tate Modern di Londra, Sunflower seed, una distesa di cento milioni di semi di girasole, che rievoca le vittime delle carestie provocate da Mao Zedong: tutti identici in apparenza ma proprio perché meticolosamente dipinti a mano, ognuno diverso dall’altro) e si sofferma soprattutto sulle battaglie politiche e legali che quest’ultimo ha dovuto fronteggiare. Il connubio arte-vita è per quest’uomo inestricabile e viscerale: un artista che guarda al passato e ripensa, indaga e combatte il proprio presente, un presente dove ognuno è responsabile della difesa di una libertà d’espressione che troppe volte viene rinegoziata, violata e rubata.
Consiglio di lettura: la pubblicazione Ai Weiwei. Il blog. Scritti, interviste, invettive 2006 – 2009, edito da Johan&Levi, volume che ripercorre pensieri, interventi pubblici e riflessioni dell’artista-guerriero.
Caterina Sokota