Pietro Luca Cassarino
Riguardando “Serpico” di Sidney Lumet
Serpico è uno dei più chiari prodotti della New Hollywood, come evidenziano il focus su New York (Lumet non ha mai girato un film a Los Angeles o dintorni), il budget relativamente povero e la presenza di un autore come Sidney Lumet che, inseguendo dappertutto lo scalmanato Serpico/Pacino, riesce a far risultare un’ampia metropoli come New York claustrofobica. Il senso di straniamento che provoca il film è perciò causato dal sovvertimento di ogni regola che lo avrebbe accomunato ad un qualunque biopic ma anche e soprattutto dall’impeccabile interpretazione di Al Pacino, che osa non abbellire o rendere più popolare il suo personaggio, mantenendolo con le contraddizioni, i tic e i problemi di ogni uomo
“Il mio nome è Nessuno” e il canto del cigno della mitologia western
Bellissime e significative le scene che dipingono l’eterno inseguimento in bilico tra realtà e miraggio tra Beauregard e il Mucchio Selvaggio, che ricordano quasi la vana attesa de Il deserto dei Tartari, simbolo di un genere ormai maniera, che insegue solo la propria coda. A scanso di spiegoni nebulosi un po’ gattopardeschi come quello che chiude il film, è questa sensibilità meta-filmica a rendere Il mio nome è Nessuno un film profondo, nonostante i suoi molti difetti; l’ultimo film western di Sergio Leone, se lo si vuole intendere suo, è il definitivo canto del cigno della grandiosa mitologia della presa dell’Occidente.