Il 14 luglio 2018, Ingmar Bergman avrebbe compiuto cent’anni. Jane Magnusson, regista svedese già alle prese con il cinema del maestro nel documentario Transpassing Bergman e la miniserie Bergmans Video, decide di omaggiarlo nuovamente con una pellicola incentrata sul 1957, anno chiave nella carriera del regista.                                                                                           

Bergman 100- La vita, i segreti, il genio individua il 1957 come annus horribils/mirabilis in cui possiamo ritrovare, portate all’eccesso, tutte gioie e i dolori che hanno caratterizzato e caratterizzeranno la vita di Ingmar. C’è il Bergman regista, che firma due dei suoi più grandi capolavori, Il Posto delle fragole e Il settimo sigillo, il Bergman uomo di teatro, capace di portare sul palcoscenico il Peer Gynth di Ibsen, dramma colossale il cui allestimento dura ben cinque ore, e il Bergman uomo, diviso tra la moglie, le amanti e gli innumerevoli figli, dei quali stenta a ricordare il numero preciso. Ad affiancare l’attività frenetica ed incessante, emerge un colossale groviglio di nevrosi, divenute poi il carburante delle sue pellicole migliori: germofobia, aclufobia, tanatofobia, disturbi alimentari, spasmi alle gambe e violente ulcere di stomaco, mitigate da una dieta autoimposta a base di yogurt e biscotti, sono soltanto alcune delle ombre gettate da una psiche in egual misura creativa e tormentata.                                                                                                          

La narrazione della Magnusson si allontana a tratti dal 1957 per poi tornarvi ciclicamente, leggendo passato e futuro in funzione di quei dodici mesi così pieni e spossanti. L’infanzia difficile, l’adolescenza da recluso e le storie d’amore tormentate, così come lo scontro a fine carriera con la compagnia teatrale responsabile di aver recitato una versione deludente de L’Avaro di Moliere, sono vettori che sfociano e nascono dai successi del 1957. Una massa variegata di collaboratori, ex amanti e ammiratori, tra cui spiccano Gunnel Lindblom, Liv Ulmann e Barbra Streisand, viene chiamata a cucire spezzoni di film e filmati d’archivio, restituendo istantanee di vita sul del set o trascorsi personali che restituiscono uno sguardo completo sul grande regista, senza tralasciare le sue parti più ostiche o disprezzabili.                                                                                                  

Il documentario riesce, rifiutando la formula più convenzionale che vorrebbe i fatti ordinati cronologicamente in bella mostra, a stagliare efficacemente il profilo di un colosso del cinema moderno, facendolo emergere da un gioco bilanciato di luci e ombre.