Bílý Ráj rappresenta per la cinematografia ceca un momento molto importante. A partire dal primo dopoguerra, infatti, giovani attori, registi e maestranze, per altro non provenienti da altri comparti artistici come letteratura o teatro, si erano riuniti e stavano cercando di mettere in piedi il cinema locale.

All’interno di Bílý Ráj troviamo dunque diversi personaggi interessanti: un regista, Karel Lamac, grande conoscitore del cinema internazionale, che cercherà negli anni successivi di sperimentare e giocare con i generi; un’attrice, Anny Ondráková, meglio nota al pubblico come Anny Ondra, che sarà poi protagonista in Ricatto (Blackmail) di Alfred Hitchcock (1929); un operatore, Otto Heller, che sarà uno dei più importanti della prima cinematografia ceca; uno sceneggiatore, Václav Wasserman che sarà autore di tante storie interessanti. Assieme a questo gruppo affiatato vi sono anche Gustav Machatý, che dirigerà poi Erotikon (1929) ed Estasi (1933), e Martin Frič come set designer.

Con questo film Karel Lamac tenta di creare un prodotto che possa piacere a tutti, mescolando elementi di dramma, azione, commedia e sentimento. In breve la sinossi: Ivan Holar (Karel Lamac) fugge dal carcere dove è ingiustamente detenuto per andare a trovare la madre malata il giorno della vigilia di Natale. Braccato dalle guardie che lo cercano, incontra la giovane cameriera Nina (Anny Ondráková), che è scappata per evitare di essere sgridata dal suo tutore. Grazie anche al burattinaio Tomás i due riescono a risolvere i loro guai e ad arrivare a un lieto fine.

Come detto all’interno del film rientrano generi diversi, ma essi sono tenuti insieme in maniera convincente. Ogni personaggio, per certi versi, sembra incarnare uno di questi generi e li porta avanti all’interno della narrazione. Nina è un personaggio sognante, romantico e tipico dei romanzi rosa adolescenziale. Nonostante la vita misera che ha avuto, è orfana e costretta a lavorare per un tutore senza scrupoli, continua a sognare e sperare in un futuro migliore in cui lei possa essere felice. Ivan è il personaggio di un film drammatico, si ritrova in carcere ingiustamente, ha la madre malata e, nonostante tutto giri contro di lui, cerca disperatamente di lottare contro il proprio destino. il tutore sembra invece uscito da un western.

È il classico cattivo senza scrupoli pronto a sparare alla prima occasione e, difatti, non mancano le sparatorie all’interno del film grazie anche alla presenza di due poliziotti particolarmente a loro agio con le carabine in mano; vi è poi un’altra donna, interpretata da Lo Marsánová, che porta in scena una sorta di commedia borghese. Alla fine, però, il vero protagonista è l’enorme distesa bianca di neve, ovvero quel “Paradiso bianco” evocato anche dal titolo. Da questo punto di vista a Karel Lamač va il merito di aver osato girando gran parte del film in esterna in una distesa innevata con atmosfere che ricordano da vicino quelle di alcuni dei film del periodo d’oro svedese.

La sensazione, alla fine, è che coloro che hanno lavorato al film si siano effettivamente divertiti nel mettere in scena una storia semplice, magari anche irrealistica, ma comunque curata e originale. Quello che, infatti, poteva essere un pasticcio indigesto si è straordinariamente trasformato in un puzzle in cui tutti i pezzi, con cura e delicatezza, sono andati al loro posto.