L'ispirazione arriva da un fatto di cronaca di qualche anno prima, quello di una anziana signora morta durante un viaggio in macchina col nipote, da quest'ultimo avvolta provvisoriamente in un tappeto per poi ritrovarsi dopo una sosta con l'automobile rubata.
Nel film di Carlo Rim del 1948 Fernandel è un esattore delle tasse parigino con una zia bisbetica, che a dispetto della tarda età e del monito del nipote, decide di supervisionare personalmente il trasloco di alcuni mobili dalla vecchia casa di Clermont-Ferrand. Durante il viaggio però, la donna muore improvvisamente e i due traslocatori ne ripongono il cadavere in un armadio chiudendolo a chiave. Il furgone viene rubato e il nipote deve mettersi alla ricerca del mobile perduto per recuperare il cadavere della zia e ottenerne l'eredità.
Il titolo originale, L'Armoire volante (“l'armadio volante”), è sicuramente più efficace e perspicuo di quello nostrano (L'eredità di Fernandel) – tutto giocato sulla fama dell'attore protagonista, già notissimo per Don Camillo quando il film venne distribuito in Italia nel 1953 – nell'annunciare lo spirito di questa odissea di trovate nella quale si ride di gusto a più riprese, fra cadaveri che saltano fuori senza mai essere quello giusto, e armadi che sembrano moltiplicarsi tutti identici come nel peggiore degli incubi (capiremo poi come mai).
Il film si regge interamente sul carisma di Fernandel che, pur senza poter qui sfoggiare l'irresistibile sorriso, riesce comunque a creare nello spettatore compartecipazione verso le traversie di un personaggio sulla carta non particolarmente simpatico. L'attore al tempo non era ancora Don Camillo – lo sarebbe diventato solo nel 1952 – ma era già molto famoso e amato in Francia, e si propose in un ruolo effettivamente più problematico di quelli a cui il pubblico era abituato.
Carlo Rim, all'epoca sceneggiatore attivissimo, era invece al debutto ufficiale nella regia, anche se aveva già contribuito, non accreditato, a Simplet (1942) dello stesso Fernandel. Le continue soluzioni e sorprese da lui individuate in fase di scrittura si sposano bene con un'atmosfera surreale nella quale oggetti ordinari e innocui come gli armadi pervadono lo schermo in maniera sottilmente perturbante quasi fossimo in un quadro di Magritte (belle a tal proposito le sequenze che precedono e seguono l'aggiudicazione dell'asta).
Un po' deludente il finale: forse perché a questo protagonista né buono né cattivo, senza dubbio meschino ma in fondo del tutto ordinario, non si può dare né la soddisfazione di un avido trionfo, né la frustrazione di un'amara perdita dopo le tumultuose prove affrontate, la commedia si congeda con una chiusa certamente rassicurante ma non del tutto capace di risolvere lo stato piacevolmente ansiogeno in cui ha avviluppato lo spettatore sino a quel momento.