Nello spazio di tempo che separa Californie da Butterfly, ovvero il loro ultimo film da quello precedente, c’è stato un giro di vite curioso nel cinema dei documentaristi Alessandro Cassignoli e Casey Kauffman. L’ultima scena di Butterfly, un documentario sulla pugile napoletana Irma Testa, mostrava la protagonista del film allenarsi con una ragazzina più piccola, decisa a tutti i costi a diventare una campionessa come Irma. Quella stessa ragazzina, che di nome fa Khadija, interpreta oggi la protagonista di Californie: Jamila, trasferitasi a Torre Annunziata ancora bambina, marocchina di origine e partenopea d’adozione.
Prima che come film a sé stante, l’ultimo lavoro di Cassignoli e Kauffman nasce dunque come un’espansione, una digressione narrativa che si è sviluppata poi in modo indipendente. Siamo davanti alla creazione, in versione ridotta, di un multiverso narrativo, composito e polifonico: un’operazione che, pur nell’umiltà del mondo che racconta, sorprende per ambizione e slancio umano.
Lo stacco, oltre che nella scelta della protagonista, è anche e soprattutto formale, con il passaggio definitivo di Cassignoli e Kauffman all’opera di finzione – sebbene lo sguardo documentaristico sia sempre il fulcro della loro cifra stilistica. La protagonista del film è frutto della fantasia, ma l’approccio osservativo con cui i due autori hanno seguito Khadija dagli undici ai quattordici anni, cercando nel suo percorso di crescita quello di Jamila, tradisce la loro innegabile sensibilità per il realismo umano e ambientale. Il risultato è un’opera meticcia, concentrata e strutturata, ma anche nervosa, scattante, vitale: un piccolo e intimissimo Boyhood al femminile.
Con il suo stile ambivalente, a cavallo fra documentazione e manipolazione, Californie racconta di uno spazio intermedio, stretto fra la famiglia marocchina di Jamila e il golfo di Napoli. Nei quattro anni in cui la seguiamo, che corrispondono ai capitoli in cui il film è suddiviso, Jamila percorre la linea sottile che separa queste due dimensioni, tra cui rimbalzano i suoi desideri di adolescente incompresa. Prima l’iscrizione al corso di pugilato, poi la voglia di tornare in Marocco, poi ancora l’abbandono della scuola e il ripiego su un lavoro da parrucchiera. Quattro movimenti per quattro stati d’animo: prima ancora che dal suo carattere multiculturale, il racconto di Californie è trainato dal vento violento e contraddittorio della pubertà.
La chiave di volta del film sta proprio nel ritratto della sua protagonista, raccontata, invece che nel suo status di immigrata, come una semplice ragazzina: Jamila, in egual modo marocchina e napoletana, non vive la propria identità etnica in maniera drammatica, e le due culture fra cui si muove coesistono senza generare mai un vero conflitto. Creano, semmai, un senso di spaesamento: il riflesso della tensione latente di Jamila nei confronti del suo futuro – una confusione che probabilmente, ci suggerisce il finale, non è destinata a risolversi.
L’orizzonte sociologico della storia è dunque relegato allo sfondo, alle pause tra una scena e l’altra. Torre Annunziata non è un contorno geografico, ma uno specchio della protagonista, del suo desiderio di rivalsa nei confronti della vita che la aspetta. È in questo spazio liminale che il documentario diventa fiction, anzi favola: non è forse una favola quella di Jamila, alla ricerca del proprio sogno di libertà fra le bolle culturali a cui appartiene? Una favola di periferia, certo, ma sempre tenera e comprensiva nei confronti della sua eroina, che stempera il grigiore di Torre nel colore indomito dell’indipendenza.
Anche nell’attrito tra realtà e finzione che il film incarna, e che probabilmente è insito al progetto degli autori, il film di Cassignoli e Kauffman non perde mai di vista la propria adolescenziale impulsività, raccontando la trasformazione della protagonista con la stessa libertà volatile con cui Jamila decide cosa fare della propria esistenza. Nel mettere al mondo questo piccolo universo interiore, Californie accarezza l’impeto della giovinezza con una spontaneità priva di incertezze: a metà fra terra e mare, con un piede sulla realtà documentaria e uno su quella meraviglia impossibile e incantata che è l’adolescenza.