Alessandro Blasetti ha avuto molti meriti. Tra i tanti, fu il primo a intuire le potenzialità della coppia Sophia Loren/Marcello Mastroianni, diventata in seguito la più popolare del cinema italiano. Grazie alla sua caparbietà e lungimiranza ottenne di assegnare il ruolo dell’avvocato difensore a Vittorio De Sica nel celeberrimo episodio Il processo di Frine (Altri tempi, 1952), dandogli l’occasione di riaffermare il suo talento di attore accanto a Gina Lollobrigida, gettando così il seme da cui germoglieranno i Pane, amore e.
Eccoli tutti e tre riuniti in Peccato che sia una canaglia (1954): Loren, una prorompente truffatrice e figlia d’arte – De Sica è perfetto nel ruolo del padre, ladro gentiluomo – e Mastroianni nei panni del malcapitato tassista che s’innamora perdutamente di Sophia/Lina. Il film, ispirato al racconto di Moravia Il fanatico e sapientemente riorchestrato da Suso Cecchi D’Amico, Alessandro Continenza e Ennio Flaiano, incontra il gusto del pubblico.
Alla prima romana al cinema Astoria, un corteo di 200 tassisti segue l’auto scoperta che contiene Blasetti e Loren; piazza del Popolo viene letteralmente presa d’assalto. Non si trova un taxi in tutta la Capitale. Il successo del film alimenta i pregiudizi di parte della critica cinematografica, incapace di perdonare a Blasetti, il suo talento nel realizzare film con il duplice sguardo del regista e del produttore. Ma Blasetti ha il phisique du rôle e un’esperienza professionale tale da non lasciarsi influenzare da chi non ha mai girato un metro di pellicola.
Ma con Sophia è tutto diverso. Blasetti ne ha afferrato immediatamente le potenzialità; dietro la bellezza prosperosa c’è una donna con tutte le qualità per diventare un’attrice di prim’ordine; intelligente e soprattutto disciplinata, con un cuore generoso e disposta a lavorare sodo. Blasetti ne è completamente soggiogato.
Lo scambio epistolare tra il regista e Sophia Loren nel corso del 1957, all’indomani del successo di Peccato che sia una canaglia (1955) e di La fortuna di essere donna (1956), mette in scena un Blasetti inedito, geloso, ferito nell’amor proprio dall’aver scoperto che in un’intervista, lei ha dichiarato che tra le sue interpretazioni preferite c’è la pizzaiola di L’oro di Napoli (1954), film a episodi diretto da Vittorio De Sica.
2 dicembre 1957
Cara Sophia,
Anche se ci siamo parlati per telefono non posso rinunciare a rintuzzarti la spudorata malafede dei tuoi rimproveri. Mandarti cartoline io? E a quale indirizzo? Capisco: potevo scrivere Sophia Loren, America, Sophia Loren, Inghilterra, Sophia Loren, Svizzera; ma soltanto se avessi saputo in quale di questi paesi ti spostavi da una settimana all’altra. Sophia Loren, Mondo, mi è sempre sembrato, comunque, troppo presuntuoso. […]
Poi c’è un’altra questione: quella delle tue interpretazioni preferite. Su questa, abilissima come sei, non hai tentato nemmeno la ritorsione. E lascia che io ti ripeta come io tenga moltissimo a che tu riconosca che il primo regista a dichiarare urbis et orbis – e prima di tutti a te – che tu saresti stata un’attrice sul serio, fui proprio io e fin dal giorno dello sparuto provino con Glori per il “Don Corradino”[1]. Quanto a Peccato che sia una canaglia mi sembra di poter affermare che fu veramente la tua prima completa brillantissima affermazione di attrice come tale, come temperamento, come intelligenza a prescindere dal tuo fascino e dal tuo sexy personale. [...]
Sentir parlare soltanto dell’ Oro di Napoli – a prescindere dalla mia ammirazione per De Sica e della ottima prova che vi hai dato ma che non supera né “Canaglia”, né “Fortuna” – mi ha fatto sinceramente male. [...]
Lo sfogo del regista ha un po’ il sapore da commedia dei film che lui stesso cita. L’idea che il padre del cinema sonoro italiano – anche fisicamente Blasetti aveva una corporatura imponente, autorevole – si senta offeso dal non essere ricordato tra i primi estimatori del talento dell’attrice, aggiunge al suo ritratto una sfumatura di tenerezza e di umanità che i libri di storia del cinema non restituiscono.
Per contro, la risposta di Loren, conferma l’affettuoso rapporto d’amicizia che li ha uniti. Ma conferma anche che l’immagine della ‘diva Loren’ si sta costruendo sul vero carattere dell’attrice; niente affatto superba, schietta nell’esprimere i suoi sentimenti e ‘di indole napoletana’ (nata a Roma) fino al midollo. La si può giudicare colpevole per aver preferito un altro ‘napoletano’, Vittorio De Sica, nato a Sora?
12 dicembre 1957
Caro Sandro, piantala di rimproverarmi e cerca di pensare a me allo stesso modo in cui io penso a te. Allora non avrei dubbi su quanto mi vuoi bene.
Per quanto riguarda certe dichiarazioni che credo mi si attribuiscono, ti confesso che non ho capito bene di che si tratti e se ti riferisci a un qualche articolo, e in tal caso a quale. Comunque non vorrai rendermi responsabile degli articoli manipolati dai giornalisti. Io di una cosa sono certa: non ho mai fatto un’intervista in cui, se interrogata sui primi successi e sulle mie preferenze, non ho parlato di te con tutto quell’affetto di stile napoletano che ben conosci in me. [...]
In questi ultimi tempi la sola cosa che ha contato e che conta per me, oltre al mio lavoro, è il calore affettuoso dell’amicizia. [...]
Ti abbraccio e a presto
Tua Sofia (senza l’acca)
[1] Don Corradino è uno degli episodi del film di Blasetti Tempi nostri (1954). Sophia Loren reciterà in un altro episodio, La macchina fotografica, accanto a Totò.