Inghilterra, XIII secolo. Lady Catherine di Stonebridge, conosciuta da tutti come Birdy, ha 14 anni e affronta l’adolescenza, ovvero quel periodo di vita in cui si oscilla tra l’infanzia e la maturità, anche se lei non è pronta a lasciare la prima. Il padre, la sua famiglia e la nutrice pretendono da lei un comportamento da “Madonna”, ma Birdy respinge tutto e tutti aggrappandosi ai sogni di bambina. Il ciclo mestruale ormai è arrivato, il suo corpo è cresciuto e, nonostante lei tenti di nascondere questo avvenimento, il padre scopre i tamponi di tessuto infilati nelle fessure della latrina.

Per Birdy è quindi giunta l’ora di essere usata come merce di scambio, una giovane donna data in moglie al primo uomo ricco che, potendo pagarne la dote, può risollevare gli animi della famiglia in rovina e degli abitanti del villaggio di Stonebridge. L’arrivo dell’eroico zio George al quale Birdy è molto affezionata le fa conoscere nuovi stati d’animo, sentimenti come l’amore e la gelosia che per una ragazza sono tremendamente diversi da quelli di una bambina.

Lena Dunham insiste, nella sua sceneggiatura e nella rappresentazione, sull’egoismo del personaggio di Birdy, un tratto caratteriale dato anche dalla fase di passaggio che ella sta vivendo e che probabilmente caratterizza anche il suo pubblico di riferimento. Dunham, nota soprattutto per la serie Girls, ma anche per il suo primo lungometraggio Tiny Furniture, ha sicuramente un interesse spiccato per i momenti di passaggio. Così si può rassicurare chi teme di trovarsi davanti a un film in costume vano e anonimo come il recente The Princess di Le-Van Kiet, perché Lena Dunham sorprende con il suo cinema e il suo modo di indagare, illustrare e inquadrare precisi momenti dell’universo femminile, ma non solo.

Catherine Called Birdy è un film distribuito da Prime video e tratto dall’omonimo romanzo di Karen Cushman di cui mantiene la forma di racconto attraverso il diario. Questo sembra rendere infantile l’intera vicenda, ma in realtà aiuta a esplicitare il fatto che ciò a cui stiamo assistendo è esclusivamente la visione della protagonista. L’adolescenza spesso genera una chiusura in sé stessi o comunque questo è ciò che succede al personaggio di Birdy - un’adolescente spregiudicata un po’ alla Catherine Spaak  ne I dolci inganni e La voglia matta - che la Dunham tiene sempre al centro dell’inquadratura e alla quale dedica la maggior parte dei primi piani e piani medi. La macchina da presa narra sempre in funzione della protagonista nel senso che tende a mostrare solo ciò che Birdy immagina e che soprattutto vede con i suoi occhi. Si pensi infatti alle sequenze dedicate alle nascite, soprattutto per quanto riguarda il secondo parto al quale Birdy assiste come spettatrice, in un angolo, seduta su una sedia.

Questo egocentrismo nel corso della narrazione muta insieme al suo personaggio. Birdy vedendo lo zio George, il suo eroe e “innamorato”, che dopo aver partecipato alle crociate è costretto a sposarsi non per amore, ma per affari è convinta di essere lei la sola vittima di quella tragedia. Così succede anche per quanto riguarda la sua amica Aelis che dapprima viene privata del suo innamorato perché costretta a sposare un bambino di nove anni e poi, quando finalmente può essere libera, l’unica ad avere il potere di aiutarla è Birdy e proprio in quel momento tutto cambia. Infatti Birdy inizia a vedere il suo egoismo e così in un certo senso perde centralità all’interno dell’inquadratura mescolandosi agli altri personaggi che guadagnano più spazio.

Catherine Called Birdy in conclusione è una commedia ironica che, guardando anche al cinema di Sofia Coppola, rimane forse giustamente entro i suoi limiti sfruttando l’ambientazione medievale imbellettata alla Bridgerton per raccontare una storia gradevole che vuole in sostanza rivolgersi alle (e ai) teenager, per raccontargli di quanto i loro problemi fossero simili anche nel XIII secolo.