Al Cinema Ritrovato del 2004 Cecilia Mangini presentò per la prima volta Uomini e voci del Congresso Socialista di Livorno – unica testimonianza filmata di un evento storico epocale – che documenta lo scontro interno tra l'area rivoluzionaria e quella riformista che nel 1921 portò il Partito Socialista alla scissione da cui nacque il Partito Comunista italiano. Non bisogna dimenticare che il Congresso dei socialisti si svolge alla vigilia della marcia su Roma, tre anni prima dell'assassinio di Matteotti a cui seguiranno, nel 1925, le leggi liberticide.
A 100 anni di distanza, la Cineteca di Bologna, presenta il documentario restaurato. Ha una storia misteriosa questa pellicola, – non se ne conosce l'autore, non ci sono notizie sui quotidiani benché riprendere fosse un evento d'eccezione all'epoca – ancora tutta da scoprire. Nell'archivio di Cecilia Mangini e Lino Del Fra, abbiamo ritrovato il testo scritto di quello che verosimilmente Cecilia ha raccontato prima della proiezione nel 2004 e che svela come questo film sia arrivato nelle sue mani e come si sia fatto veicolo d'ispirazione per uno nuovo modo di concepire il documentario, utilizzando immagini di repertorio; All'armi siam Fascisti! (1962), nato dalla collaborazione di Mangini e Del Fra con Lino Micciché, ne è un un eccellente esempio.
“Il documentario Uomini e voci del Congresso Socialista di Livorno è stato regalato a Lino Del Fra da un vecchio capolega del foggiano più o meno in punto di morte, verso la fine degli anni Quaranta, primissimi Cinquanta. Era un comunista bordighiano di cui non mi ricordo il nome, che bordighiano era nel '21 e bordighiano era tenacemente rimasto nei lunghi anni del fascismo, e anche dopo il 1945, con la ricostruzione dei partiti, la Costituente e la Repubblica lui, da bordighiano di ferro si era ben guardato dal consegnare quelle due bobine al Partito Comunista. Per fedeltà al suo capo, le aveva conservate in casa, rischiando la galera.
Alcune immagini che vedrete sono state usate in un documentario di propaganda elettorale del Partito Socialista per le lezioni amministrative del 1960, dal titolo Il popolo vota socialista per la regia di Lino, mia e di Micciché, realizzato per iniziativa di Antonio Landolfi, allora responsabile della Stampa e Propaganda del Partito, e due anni dopo sono state usate nel film All'armi siam Fascisti!.
Torniamo a Uomini e voci del Congresso Socialista di Livorno. Nonostante le mie lunghe ricerche all'emeroteca della Biblioteca Nazionale, non sono riuscita a sapere nulla del regista e/o operatore del documentario. Né "L'Avanti!", né gli altri quotidiani consultai ("Il Corriere della Sera", "Il Mattino", ecc.) vi fanno cenno, e neppure il quotidiano di Livorno che segue il Congresso da vicino anche per i fatti di cronaca (gli arrivi, gli alberghi dove sono ospitati i delegati, chi è il fotografo ufficiale del Congresso, chi ha curato l'addobbo floreale del teatro, ecc.), non parla mai di riprese cinematografiche, che pure all'epoca erano assolutamente eccezionali, e che sono durate per tutta la la durata del Congresso. Le fotografie invece, quelle ufficiali, sono all'Archivio di Stato. Sequestrate dai fascisti, erano state portate al Ministero dell'Interno, utilissime al regime come foto segnaletiche degli odiati rossi, e poi, trascorsi i cinquant'anni previsti dalla legge, consegnate dal Ministero all'Archivio di Stato.
Come si direbbe oggi, il documentario ha una struttura ad andamento cronachistico, quasi un archetipo televisivo. Nella prima parte, ci sono gli esterni della città, il Teatro Goldoni, sede del Congresso, e la presentazione dei delegati. Con la seconda parte, si entra nel teatro e nel vivo del dibattito congressuale. Della conclusione, del punto di arrivo di un discorso sotterraneo, vi dirò dopo.
Dunque di questo Uomini e voci del Congresso Socialista di Livorno (voci, sì anche se si tratta di un film muto) il regista resta sconosciuto. Dico regista perché ci troviamo di fronte a qualcuno che ha impaginato le riprese (fatte da lui o da qualcun altro, non importa) e dato una sua versione molto precisa del Congresso dal punto di vista dell'interpretazione politica. Soprattutto ha scelto e virgolettato i passi degli interventi più congeniali al suo racconto, di più, li ha personalizzati, apponendovi la firma dell'autore.
La prima sensazione è che questo mio collega abbia voluto fare, almeno apparentemente, un quadro equilibrato e oggettivo del Congresso. Ci sono tutti: i massimalisti di Serrati, gli esponenti della frazione comunista, i sindacalisti, i riformisti, il gruppo "Ordine Nuovo" (e la copia che viene sventolata di fronte alla macchina da presa con il suo titolo quasi a piena pagina è l'unico accenno alla marea montante del fascismo e all'inerzia della Camera: LA CAMERA RINVIA LA DISCUSSIONE SULLE VIOLENZE FASCISTE)... molti nomi, oggi, non ci dicono nulla. Altri fanno parte della memoria storica di questo paese. Un quadro equilibrato e oggettivo almeno apparentemente, vi dicevo, da par condicio, si direbbe oggi. Anche la citazione dei tre socialdemocratici tedeschi che si erano opposti alla scissione comunista in Germania sembra essere bilanciata da Kabacev, l'inviato della Terza Internazionale e dal suo 'mandante', diciamo così, Vladimir Ilic Lenin, in fotografia. Ma par condicio non è, perché - e questi sono i dati rivelatori di una comunicazione mirata - la piccola frazione 'intransigente' di Costantino Lazzari e dei suoi seguaci in realtà fa la parte del leone.
Oltre a Lazzari, che appare ben quattro volte (e quella di Lazzari in famiglia è senz'altro una delle immagini più belle e più spontanee da un punto di vista cinematografico), il filmato cita Modigliani, Argentina, Altobelli, Pietro Abbo, Capocci e Vacirca, senza contare che gli interventi di Lazzari, di Abbo e Vacirca sono ricordati con didascalia doppia, cioè con un enunciato più lungo e argomentato, e dunque politicamente più pesante. Per converso, basta pensare all'esilità di quello che dice Treves: «Odio le frasi» o Margari: «Fa' ciò che devi, avvenga che può!».
Ho l'impressione che in fondo al suo cuore socialista, questo regista non volesse la scissione, anzi, che non sia mai riuscito a credere che fosse avvenuta, e che, nel mentre montava il materiale girato e compilava le didascalie, a scissione già avvenuta e conclamata, rifiutasse di rendersene conto. Era fra quelli, ed erano i più, rimasti ' attoniti di fronte all'ineluttabilità della scissione'. Questo rifiuto a credere, questi conati di rimozione, rappresentano una specie di filo rosso del documentario. I richiami all'unità ne sono una costante. Al punto da concludere con l'intervista post-congressuale all'onorevole Francesco Barberis che afferma testualmente: «Per me il Congresso è stato il più grande e si è svolto, malgrado i dissidi, con risultato ottimo», seguito, quasi a stretto giro, dal capostazione che stringendo a sé la piccola bandiera rossa ferroviaria e guardando in macchina, cioè gli spettatori, chiede «A quando?».
A quando che cosa, se non la riunificazione? Conclude, obbligatorio, il sol dell'avvenire”.