Chi è Renzo Renzi? Nell’aprile 1953 l’Ufficio Informazioni (leggasi “servizio segreto militare”) del Comando Militare Territoriale di Milano risponde alla domanda nel seguente modo:

Renzi Renzo di Aurelio e di Lugli Virginia, nato a Rubiera (Reggio Emilia) il 13 dicembre 1919, residente a Bologna, in via Rondone 8. […] Sembra lavori per conto di un’imprecisata casa cinematografica [Columbus Film] per la produzione di documentari. In occasione dell’alluvione del Polesine avrebbe girato un documentario nella zona colpita [Quando il Po è dolce (1952)]. In passato fu critico cinematografico e scrisse articoli sul soppresso quotidiano comunista Progresso d’Italia. Non risulta ricopra o abbia ricoperto cariche di schieramenti politici di estrema sinistra, sebbene dimostri simpatia per essi. Studiò Lettere senza però laurearsi.[1]

Sette anni dopo, nel giugno 1960, Renzi prende parte al convegno “La cultura nella società italiana”, organizzato a Roma dalle riviste Il contemporaneo, Il pensiero critico, Il ponte, Nuovi argomenti, Officina, Paragone e Ulisse, e questa volta tocca al questore di Bologna redigere un profilo professionale e politico del concittadino Renzi, su richiesta della Divisione Affari Riservati della Direzione Generale Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno (leggasi “polizia politica”):

Renzi Renzo di Aurelio, domiciliato a Bologna in via del Rondone 8 […]. Risulta di regolare condotta morale, sebbene […] abbia precedenti [ovvero una condanna a sette mesi e tre giorni di reclusione militare per vilipendio alle Forze Armate, emessa dal Tribunale Militare Territoriale di Milano in data 9 ottobre 1953]. È pubblicista, critico cinematografico, collaboratore della locale libreria “Cappelli”, presso la quale dirige da oltre dieci anni la collana cinematografica “Dal soggetto al film”.

È stato anche critico del cessato quotidiano Il progresso d’Italia, di emanazione estremista [comunista]. Vive con i genitori (il padre pensionato delle Ferrovie dello Stato e la madre casalinga) in discrete condizioni economiche. Non consta che sia iscritto ad alcun partito né che svolga attività politiche di particolare rilievo, ma viene indicato come orientato verso i movimenti di estrema sinistra, mentre i genitori sono ritenuti favorevoli alle correnti di centro. Il Renzi è stato iscritto all’Università di Bologna fino al 1945, nella Facoltà di Lettere e Filosofia, senza però conseguire la laurea. [...] Professionalmente è ben quotato.[2] Il rapporto del questore di Bologna viene letto dai competenti uffici del Ministero dell’Interno a Roma e archiviato in un fascicolo ‘marchiato’ dalla lettera Z (la sigla che, all’epoca, designava gli individui di massima pericolosità politica: anarchici, socialisti e comunisti).

Dunque, chi è Renzo Renzi? Per l’Esercito Italiano e per il governo democristiano degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta, egli è un intellettuale di possibili tendenze estremiste (cioè comuniste), un sospetto da tenere d’occhio… una personalità scomoda. A voler ben vedere, però, Renzi è stato una personalità scomoda non solo da uomo adulto, cioè da letterato e cineasta trentenne-quarantenne, durante i primi due decenni della Repubblica Italiana. Già da studente universitario appena ventenne, tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, aveva dimostrato una certa passione per la polemica e una certa tendenza alla ribellione.

Convinto sostenitore di un fascismo autenticamente rivoluzionario e quindi proletario e anti-borghese (un presunto ‘fascismo delle origini’ tradito dall’avidità di intriganti gerarchi che, dopo la conquista del potere, avevano abbandonato la rivoluzione permanente per godersi gli ozi e gli agi della satrapia), nel marzo 1941 Renzi rinuncia ai benefici connessi alla sua condizione di studente universitario e si arruola volontario per il fronte, africano o balcanico che sia.

Partecipando a quella che, imbevuto di propaganda fascista, ritiene essere “una guerra dei popoli poveri contro i popoli ricchi, quindi una guerra ‘difensiva’, di giustizia”[3], egli intende evadere dal grigiore e dal conformismo della vita piccolo-borghese, dimostrare il proprio coraggio e, soprattutto, guadagnarsi sul campo di battaglia la considerazione di un regime che, aldilà dei proclami propagandistici di facciata, stenta a fare ‘largo ai giovani’: “i giovani, apparentemente esaltati [dal fascismo] attraverso alcune iniziative, erano spesso avviliti dal rimprovero della loro inesperienza rivoluzionaria: venivano ricattati poiché si diceva loro che non avevano fatto né marcia su Roma né guerre (era il tempo non dell’intelligenza, ma del manganello e del fucile) e che quindi era meglio stessero zitti”[4].

Dopo un primo corso allievi ufficiali a Firenze, un assaggio della brutalità della guerra in Croazia e Bosnia, e il raggiungimento del grado di sottotenente di complemento presso la Scuola Allievi Ufficiali di Fano, Renzi partecipa all’occupazione italiana della Grecia con il Reggimento Fanteria Cagliari dal 18 novembre 1942 all’armistizio Italia-Alleati dell’8 settembre 1943.

Naturalmente, al regime fascista poco importa che l’arruolamento volontario di Renzi sia un modo per far vergognare i corrotti gerarchi guerrafondai da salotto “con le grandi aquile e i visi da droghieri”[5], e per dimostrare che per ‘quelli della vecchia guardia’ che avevano fatto la marcia su Roma è tempo di passare il testimone della rivoluzione fascista alle ‘nuove leve’ nate nell’immediato Primo Dopoguerra: al regime che millanta otto milioni di baionette interessa solo avere carne da macello per i vari fronti e boia per ‘pacificare’ i territori occupati. Comunque sia, questo arruolamento volontario del marzo 1941 è il primo di una lunga serie di atti dimostrativi e polemiche che caratterizzano la vita e le opere ‘scomode’ di Renzi.

Fatto prigioniero dagli ex-alleati tedeschi il 9 settembre 1943 a Eghion, in Grecia, Renzi finisce in vari campi di prigionia in qualità di internato militare, ossia prigioniero di guerra non protetto dalle Convenzioni di Ginevra. Pur sottoposto a fortissime pressioni fisiche e psicologiche, egli rifiuta qualsiasi collaborazione con i nazisti e con il fascismo repubblichino, rischiando di morire di freddo e di fame nelle baracche dei lager in Polonia e Germania pur di “ritrovare la dignità di un atteggiamento preciso, nel caos avvilente degli avvenimenti disordinati”.

La guerra – di cui [noi internati militari italiani] potevamo affrettare la fine, con la nostra resistenza – non era ormai più un’avventura sufficientemente gloriosa ed esaltante, ma ci si era rivelata come una volgare faccenda, capace soltanto di provocare massacri e rovine. In quel periodo cominciammo anche a rivedere, fuori dall’involucro equivoco del fascismo, le varie ideologie, il liberalismo, il socialismo, dei quali vivevano in noi parecchi fermenti, come ordinamenti civili capaci di suscitare nuove speranze. E capimmo anche che il fascismo, nato dalla guerra, per la difesa economica di chi dalla guerra non aveva tratto che vantaggi, poteva risolversi soltanto in una catena di conflitti. Di qui la necessità dei miti eroici, della simbologia macabra, del cittadino-soldato e di altre cose del genere[6].

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e il ritorno in Italia dalla prigionia nell’agosto 1945, si compie il ‘lungo viaggio’ dal fascismo all’antifascismo di Renzi, che – per recuperare il tempo perduto – inizia immediatamente a lavorare come critico culturale (e in special modo cinematografico), e come sceneggiatore e regista di film documentari, per (ri)costruire un’Italia libera e democratica sulle macerie fasciste e, possibilmente, anche un’Europa e un mondo migliori di quelli che hanno portato alla catastrofe globale del decennio 1935-1945. Principio-cardine della sua multiforme attività letteraria e cinematografica è “il gusto di andare contro corrente”, ovvero di occuparsi di cose proibite e dire la verità, non importa quanto scomoda, perché “le verità da dire stanno proprio tra le cose proibite, se non altro per bilanciare le esagerazioni della rettorica ufficiale”[7].

Da qui nasce la collaborazione, tra l’ottobre 1945 e il marzo 1946, con il settimanale bolognese L’italiano: giornale dei reduci, non solo per fornire ricordi di guerra/prigionia e recensioni cinematografiche di film a sfondo bellico, ma anche per mettere in guardia gli ex commilitoni che “i reduci stanno diventando un campo di battaglia delle varie tendenze politiche [sia di destra che di sinistra] [...]. Si è voluto vedere nei reduci soltanto un terreno da lavorarsi politicamente per aumentare il numero degli iscritti. Noi siamo dei ‘tesserabili’ e interessiamo soltanto per questo”[8].

Di qualche anno successivo è il tentativo renziano di usare il cinema per portare alla luce le condizioni di vita inumane degli italiani che vivono in alcune zone del Delta del Po (si veda il già menzionato cortometraggio Quando il Po è dolce, bocciato dalla commissione di selezione per la Mostra di Venezia, e poi oggetto di modifiche censorie su pressioni governative)[9], e soprattutto la battaglia cinematografica, letteraria e giudiziaria per denunciare le guerre di aggressione dell’Italia fascista, e in special modo l’invasione e l’occupazione della Grecia (una battaglia su tre fronti costata a Renzi la condanna a sette mesi e tre giorni di reclusione militare menzionata dal questore di Bologna nel 1960)[10].

Al giugno 1956 (appena dopo il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica in cui vengono denunciati gli errori dello stalinismo; appena prima della rivolta antisovietica in Ungheria, repressa nel sangue dall’Armata Rossa) risale invece l’inizio della polemica sulla rivista Cinema Nuovo contro la “apologia a ogni costo” del cinema sovietico da parte degli intellettuali italiani di area marxista[11]. Per non parlare della lettera aperta a Federico Fellini sul film Amarcord (1973), che diventa un pretesto per parlare della persistenza del fascismo nell’Italia degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, e per chiedere per l’ennesima volta ai colleghi intellettuali italiani nati e/o cresciuti durante il Ventennio di fare i conti con il proprio passato[12]...

Purtroppo, non ho mai avuto il piacere, l’onore e il privilegio di conoscere personalmente Renzo Renzi. Tuttavia, dal 2021 al 2023, ho avuto la fortuna di far parte dell’unità di ricerca bolognese del Progetto di Rilevante Interesse Nazionale “Per una storia privata della critica cinematografica italiana”[13], e ho quindi avuto modo di consultare una parte dell’enorme quantità di materiali d’archivio che riguardano Renzi (soprattutto corrispondenza di lavoro e privata, atti processuali, documenti anagrafici, militari e di polizia, manoscritti di articoli pubblicati, bozze di articoli mai pubblicati, sceneggiature di film realizzati e di film mai girati, quaderni di appunti…) e che sono conservati presso la Biblioteca Renzo Renzi della Cineteca di Bologna e presso numerose altre istituzioni italiane.

Dovessi rispondere io alla domanda “Chi è Renzo Renzi?”, alla luce di questa mia recente esperienza di ricerca, direi che Renzo Renzi è stato un maestro indiscusso della polemica intesa come forma di animazione culturale volta a provocare un dibattito il più ampio possibile su questioni sociali, economiche, politiche e culturali di scottante attualità ma generalmente ignorate per mancanza di informazione, indifferenza, ipocrisia, quieto vivere, malafede, fanatismo, disonestà intellettuale e convenienza politico-ideologica e/o economica.

Passando attraverso gli orrori e i traumi della guerra e della prigionia, Renzi è riuscito a strappare il velo della propaganda fascista e a emanciparsi dalla sua condizione di suddito di un regime totalitario, consacrando il resto della sua vita post-fascista ad analizzare prima di tutto sé stesso, e poi il mondo circostante, con spietata onestà e senza servilismo nei confronti di alcuna ideologia: un pensatore libero, indipendente e progressista, che aveva la ricerca della verità come stella polare e il miglioramento del proprio Paese (e, possibilmente, anche del resto del mondo) come più ardente desiderio.

[1] Archivio di Stato di Milano, Tribunale Militare Territoriale di Milano, Anno 1955, Busta 8, Fascicolo 135, Allegato al Foglio n. 5/591 del 2 aprile 1953.

[2] Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Riservati, Categorie permanenti, Categoria Z, Busta 496, Fascicolo “Renzi Renzo (1960)”, Rapporto della Questura di Bologna del 10 settembre 1960.

[3] Renzo Renzi, “Rapporto di un ex-balilla”, in Piero Calamandrei, R. Renzi e Guido Aristarco (con la collaborazione di), Il processo s’agapò: Dall’Arcadia a Peschiera, Bari: Laterza, 1954, p. 113.

[4] Ivi, p. 109.

[5] Ivi, p. 117.

[6] Ivi, pp. 134-135. Si vedano anche: R. Renzi, Il nero e il grigioverde: documenti per un film da fare, Milano: Edizioni di Cinema Nuovo, 1960; R. Renzi, Catene, tormenti e Charlotte, Bologna: Cappelli, 1973.

[7] R. Renzi, “Rapporto di un ex-balilla”, cit., p. 105.

[8] R. Renzi, “Un campo di battaglia: i reduci”, in L’italiano: giornale dei reduci, a. I, n. 3, 1945, p. 2. L’intera collezione (22 numeri) di questa pubblicazione poco conosciuta è disponibile presso la Biblioteca ‘Renzo Renzi’ della Cineteca di Bologna.

[9] R. Renzi, “Quando il Po è dolce”, in Cinema, a. V, n. 92, 1952, pp. 63-64, 89.

[10] R. Renzi, “Proposte per film. L’armata s’agapò”, in Cinema Nuovo, a. II, n. 4, 1953, pp. 73-75; R. Renzi, “Le ‘soldatesse’ e i soldatini”, in Cinema Nuovo, a. XIII, n. 171, 1964, pp. 328-334; R. Renzi, “Mediterraneo, la commedia. E la tragedia?”, in Cinema Nuovo, a. XLI, n. 338-339, 1992, pp. 48-49; Michael Guarneri e Lidia Santarelli, “Il silenzio e il rumore: l’onore militare nella corrispondenza pubblica e privata relativa al caso L’armata s’agapò”, in Cinergie, n. 23, 2023, pp. 37-59. Il contenuto di “Proposte per film. L’armata s’agapò” è anticipato in numerosi interventi di Renzi su L’italiano: giornale dei reduci. Per seguire la gestazione ideale della proposta di film renziana del 1953, si vedano anche il quaderno di appunti di Renzi “MC 14.06 – Quaderno A” e il manoscritto “MC 05.08 – L’armata s’agapò”, conservati presso la Biblioteca ‘Renzo Renzi’ della Cineteca di Bologna.

[11] R. Renzi, “Sciolti dal ‘giuramento’”, in Cinema Nuovo, a. V, n. 84, pp. 340-341. Si veda in particolare il seguente passaggio, vera e propria dichiarazione di poetica che funziona come manifesto dell’opera renziana tutta: “la cultura comporta sempre una parallela attività critica e autocritica. Quando, per ragioni di propaganda, si rinuncia alla critica e si dà luogo all’apologia, la cultura perde uno dei suoi caratteri, quindi diventa, fra l’altro, inefficiente propaganda. Inoltre la necessità propagandistica provoca, in chi vi soggiace, una mancata liberazione del proprio giudizio; una schiavitù verso sé stessi che non può, alla lunga, non dare luogo a una deformazione conformistica, creando schiere di automi”.

[12] R. Renzi, Il fascismo involontario e altri scritti, Bologna: Cappelli, 1975, pp. 131-181.

[13] Il PRIN 2017 “Per una storia privata della critica cinematografica italiana. Ruoli pubblici e relazioni private: l’istituzionalizzazione della critica cinematografica in Italia tra anni Trenta e Settanta” si è svolto dal 2017 al 2023, e ha visto la collaborazione tra Università di Bologna (Principal Investigator: Paolo Noto), Università di Udine (coordinatore: Andrea Mariani) e Università di Parma (coordinatrice: Jennifer Malvezzi), in collaborazione con Cineteca di Bologna (Anna Fiaccarini e Michela Zegna).