È vero che buona parte del fascino di A Woman of the World (1926) è dovuto alla presenza magnetica ed ipnotica di Pola Negri, la quale del resto aveva già avuto modo di prendere confidenza con i tempi e “le facce” della commedia lavorando con Lubitsch ne Lo Scoiattolo (1921); è altrettanto vero però che il carisma della diva polacca è stato esaltato da una sceneggiatura che scorre alla perfezione, dosando bene i momenti comici con quelli più sentimentali, e dalla regia di Malcolm St.Clair, attento a mettersi a disposizione della diva senza però perdere autonomia e a dare risalto al potenziale comico dei particolari. La Negri interpreta una contessa d’origine europea la quale, dopo una delusione d’amore, decide di raggiungere il cugino nella californiana Napa Valley; la contessa è una donna orgogliosa, forte ed indipendente, e fin da subito stona con il contesto conformista e puritano della zona, impersonato in particolare da procuratore del distretto, rigido moralista che però non rimarrà immune al fascino e alla sfrontatezza della donna. L’umorismo di questa commedia sentimentale si basa soprattutto sulla brillantezza e sull’eleganza dei dialoghi e sulla sottolineatura del coraggio sfrontato della protagonista, anticipando in qualche modo quelli che pochi anni dopo saranno alcuni canoni della “sophisticated” comedy.

Se però i dialoghi supportano anche l’evolversi più romantico della vicenda e i momenti più vicini al dramma, St.Clair, cresciuto alla scuola di Mack Sennett, rafforza la comicità soprattutto delineando con efficacia i personaggi secondari e sottolineando alcuni particolari; si veda il tormentone delle sedie a dondolo dove siedono le due pettegole comari, o il tatuaggio del cugino in quella che probabilmente è la scena più esilarante del film.

A woman of the World trova quindi la sua linfa vitale, oltre che nel fascino della diva protagonista, proprio nel descrivere, anche con una certa audacia, il contrasto tra l’indipendenza e l’anticonformismo della donna e il contesto di moralismo puritano, nei confronti del quale il film sfiora spesso i confini della satira dichiarata, in particolare nell’ultima parte, quando il rigido procuratore subisce un vero e proprio processo in cui viene accusato d’ipocrisia. Non mancano inoltre allusioni sessuali abbastanza chiare per quanto raffinate. Alla contessa impersonata da Pola Negri, del resto, basta una sigaretta fumata inarcando le sopracciglia per sgretolare le certezze altrui, anche quelle del puritano più convinto.

Edoardo Peretti