A due anni dalla sua conclusione, la guerra in Algeria è per la Francia una ferita ancora aperta. Il fantasma del conflitto si agitava in un buon numero di opere del periodo, tra cui spiccano Il piccolo soldato di Godard e Muriel, il tempo di un ritorno di Resnais. Anche Il ribelle di Algeri di Cavalier proietta su schermo una scheggia del dramma francese, stemperando il trauma degli accordi di Evian con una spolverata abbondante di melodramma.
Alain Delon è Thomas Vlassenroot, cittadino del Lussemburgo al soldo dell’esercito francese. Dopo la sommossa del 1961 in Algeria, le convinzioni di Vlassenroot vacillano, portandolo a disertare e darsi ad una vita di espedienti, nell’attesa di racimolare la somma necessaria per riattraversare il mare e tornare a casa. Quando però rapisce, per conto del suo ex sergente, un’avvocatessa impegnata a difendere i diritti degli algerini, l’amore si mette in mezzo, e lo spinge a tradire il suo datore di lavoro. Ferito e braccato dai paramilitari, Vlassenroot intraprende il viaggio verso la sua patria.
La pellicola prende ispirazione dalla vicenda dell’avvocatessa Mireille Szatan-Glaymann, sequestrata da un gruppo di nazionalisti francesi e in seguito liberata da uno dei suoi carcerieri, spalmando sulla vicenda una patina di glamour: il criminale pentito diventa Alain Delon, mentre la Glaymann prende in prestito il viso di Lea Massari, esordita qualche anno prima ne L’avventura di Antonioni. I riferimenti al fatto di cronaca, comunque sufficienti ad irritare l’avvocatessa al punto da richiedere il ritiro della pellicola, si limitano ad un terzo del materiale girato, con la restante parte occupata da tinte melodrammatiche prone al clichè: l’eroe bello e maledetto sprezzante della propria vita, la rivalità tra il giovane amante e il vecchio marito, la breve fuga con la donna amata.
Delon incarna efficacemente uno dei tanti antieroi del cinema dei Sessanta, l’ennesimo criminale dal cuore d’oro diviso tra l’amore per la donna e quello per la pistola, da cui non si separa per nulla al mondo, e la Massari riesce abbastanza convincente nel ruolo della donna amata, forte e debole allo stesso tempo, ma la mediocrità della scrittura rende difficile ricordare momenti particolari. Capace di fornire un’occhiata fugace sul conflitto appena concluso, Il ribelle di Algeri annacqua la vena politica con eccessive dosi di melò, attestandosi come pellicola facilmente dimenticabile.