"Because i just went gay all of a sudden!", urla lo sventurato paleontologo interpretato da Cary Grant in Susanna di Howard Hawks quando viene trovato vestito con una vestaglia da donna dalla ricca zia di Susan. Momento decisivo del film perché rende evidente lo stravolgimento della vita, dell'autopercezione e in qualche modo dell'identità dello sventurato protagonista, travolto dalla tempesta portata da Susan e dal suo leopardo. La celeberrima sequenza non poteva mancare in Becoming Cary Grant di Mark Kidel, documentario dedicato ad uno dei divi più emblematici ed iconici della storia del cinema statunitense.
Documentario che proprio sulla difficile costruzione dell'identità del divo basa il suo punto di vista e gioca le sue carte migliori, non raccontando tanto la storia dell'attore e del personaggio pubblico, quanto l'eredità che Archie Leach – suo vero nome – e della sua infanzia "cockney" a Bristol hanno lasciato in maniera quasi indelebile al Cary Grant (ricordiamolo, nome d'arte) che tutti noi conosciamo. Un'identità scissa, indefinita e inafferabile, che emerge dalla cura a base di lsd a cui l'attore, a seguito di crisi depressive, si sottopose negli anni cinquanta, all'apice della sua carriera. Kidel parte proprio dal racconto di queste sedute e da stralci di una sofferta e sincera autobiografia dell'attore mai pubblicata, affiancate da home movies e da spezzoni dei suoi film più celebri, oltre che dal ricordo di amici, della figlia e dell'ultima moglie. Uno degli elementi più interessanti del documentario è proprio come la lettura dei film e delle varie fasi della carriera avvengano alla luce di questa ricerca identitaria, elemento che permette anche di cogliere meglio le sfumature che caratterizzavano il "personaggio Grant" nei suoi film migliori; così, per esempio, Hawks intuì che dietro la brillantezza del personaggio tipico di Grant ci fossero zone d'ombra e straficazioni interiori, esprimendole poi con il paradosso screwball, giocando anche sull'ambiguità della sua sessualità, mentre Hitchcock colse gli aspetti più cupi, inquieti e in qualche modo, date le comuni origini britanniche, più "cockney".
Da Becoming Cary Grant esce così il ritratto di una personalità sofferta e indefinita, continuamente strattonata da spinte opposte e alla continua ricerca di sé e vittima, per dirla banalmente, del suo passato, sotto l'ombra di una maschera, quella di Cary Grant, indossata sul grande schermo e inseguita nella vita reale. Mark Kidel gestisce il taglio "psicologico" e identitario con maestria, realizzando un documentario efficace e sotto molti aspetti originale (anche nell'uso di materiali di per sé tradizionali in questo tipo di produzioni), capace di essere anche suggestivo a livello stilistico, con scelte di regia capaci di rendere quasi palpabile la sofferenza di Archie/Cary; e quindi pure capace d'emozionare.