L’estate sta per concludersi e la pandemia sembra ormai un incubo mansueto e lontano. Immagini di spiagge claustrofobiche, storie di mari corrotti dai filtri fiaccano settembre e le bacheche dei social. Eppure, tra il 2006 e il 2007, il regista e critico Miguel Gomes girava con la sua troupe tra i villaggi dell’entroterra portoghese nel distretto di Coimbra, per realizzare un film sulla stagione estiva in cui il mare non si vede mai. Basta andare su Mubi, cliccare la sezione Here Comes the Sun: L'estate al cinema, dove la pellicola è stata momentaneamente depositata, per tenersi alla larga dagli ombrelloni.

A metà tra il documentario e la fiction, Aquele Querido Mês de Agosto appare fin da subito un lavoro cinematografico insolito, che condivide nelle intenzioni e nelle suggestioni un certo modus operandi, sperimentato nei capolavori della Nouvelle Vague e nel cinema portoghese contemporaneo più innovativo.

Premiato in numerosi festival internazionali ed accolto positivamente a Cannes 2008 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs (nello stesso anno al Valdivia Internation Film Festival, in Cile, conquista il titolo di miglior lungometraggio e il premio della critica), il film di Gomes, autore del bellissimo e acclamato Tabu (2012), risulta, ad ogni modo, un’anomalia cinematografica, una visione - prestata - alla macchina da presa poiché restituisce allo spettatore i dati di una potenziale inchiesta etnografica che plana, tuttavia, sulle ali di “un’estetica della superficie”.

In questo viaggio nel cuore del Portogallo, fatto di tradizione, bande musicali itineranti, feste patronali, l’ossessione per il reale non si tramuta mai in una sua estetizzazione, quanto piuttosto nella celebrazione dissimulata di una quotidianità collettiva. La superficie è per Gomes la geografia di un territorio, la veste estiva dei suoi abitanti, le usanze, i mestieri; la band Gomape del villaggio Benfeita, il gruppo musicale Diapasão, villaggio di Pardieiros, il club motociclistico di Góis, il gruppo filarmonico di Torroselo di S. Paio de Gramacos, Paolo Mulino, il ragazzo del fiume Alva.

Una superficie che la pellicola vuole costantemente animare e disaminare, in senso antropologico, documentaristico, cinematografico. “Non voglio attori, voglio persone”, dice il regista nella scena in cui il produttore lo canzona perché il soggetto del film non corrisponde all’idea originaria. Di fatto, i protagonisti di questa etnofiction sono attori non professionisti e una troupe cinematografica: il regista è dentro il film come Truffaut e il meta-cinema sono in Effetto notte (1973).  

Ma a differenza del capolavoro francese, il pellegrinaggio estivo a cui assistiamo svela frammenti di vita senza esemplarità e si tiene a debita distanza dagli echi di una spettacolarizzazione  annunciata. Un racconto che osanna la stasi e allo stesso tempo mescola le sfumature dell’intrattenimento alla presunta banalità del reale mettendo al centro lo spettatore, che è chiamato a patirne l’immensa e complessa portata.  

Si tratta certamente di un’opera ostica, dal ritmo lento e dissuasivo, tutta giocata sull’immagine che funziona come referto ma anche come illusione, come testimonianza di una cultura implicita  corroborata dalla sua trasposizione mimetica. Nell’agosto visto da Gomes, la verità documentaria di un evento, colta nella sua dimensione estrinseca, esprime a un tempo l’autenticità del reale e la sua plasmabilità.

Idealmente il film si potrebbe dividere in due parti, la prima si concentra sulla lavorazione del film di finzione che la troupe cinematografica sta tentando di girare con i fondi dell’ICA (Istituto del Cinema e dell'Audiovisivo) ma i costi di produzione troppo elevati “costringono” la narrazione ad assume l’aspetto di un documentario, le sequenze mettono insieme luoghi diversi attraverso un ritmo discontinuo che oscilla tra il realismo e la parodia; nella seconda assistiamo alla trasformazione dell’autentico in finzione: le persone reali diventano gli attori di una storia inventata.

La registrazione fuori campo di una lirica del poeta João de Deus, grande innovatore della letteratura portoghese, trasmessa dal programma radiofonico “Noi donne” del Arganil Radio Club accompagna la scena d’apertura: “Oltre ad essere online, oggi parteciperemo anche a un film”, dichiara la conduttrice. Aperto il varco a un dialogo latente tra realismo e finzione, lo spettacolo può avere inizio.

Il grande monito lanciato da André Bazin su che cosa il sia cinema, velatamente ci coglie e ci interroga fino all’epilogo. Aquele Querido Mês de Agosto ha un’anima doppia e antica, porta con sé le tracce di una riflessione teorica sul cinema come invenzione e imitazione, manipola, con allusività, i fili dello straordinario nell’ordinario. Dentro c’è tutto, proprio perché ha le sembianze di un universo apparentemente vuoto.