Alcune delle più belle immagini del cinema degli ultimi cinquant’anni - uscite dal buio della sala per entrare nella memoria di noi spettatori - sono nate dai disegni e dalle scenografie di Dante Ferretti. I suoi novantacinque film - girati con registi come Pasolini, Fellini, Petri, Bellocchio, Annaud, Gilliam, Scorsese, Jordan, De Palma, Burton e tantissimi altri - hanno costruito un’immaginario cinematografico che visivamente ci appartiene in modo indelebile.
Il suo lavoro di scenografo, insieme a quello della moglie Francesca Lo Schiavo, è stato riconosciuto con oltre centosettanta premi. Numeri da capogiro che comprendono ben tre Oscar alla migliore scenografia per The Aviator e per Hugo Cabret, entrambi di Martin Scorsese, e per Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street di Tim Burton.
Fra le tante collaborazioni con grandi registi, tre però sono di più lunga durata e di maggiore profonda condivisione professionale: dal ‘64 al ‘75 Ferretti lavora con Pier Paolo Pasolini, dal ‘79 al ‘90 con Federico Fellini e dal ‘93 al 2016 con Martin Scorsese. E proprio al rapporto tra lo scenografo e Pasolini - che hanno collaborato per dodici anni realizzando otto film - è dedicato il recente volume edito da Pendragon, Bellezza imperfetta. Io e Pasolini, scritto dallo stesso Ferretti e curato da David Miliozzi.
Il libro si apre con un prologo che è un sogno ad occhi aperti: l’incontro fra Ferretti e Pasolini in una tomba del cimitero del Verano, che lo scenografo ha progettato per se stesso come fosse un vero appartamento, disegnandolo e arredandolo nei minimi dettagli. In questo mondo dell’aldilà Pasolini appare nella sua tenuta d’ordinanza: pantaloni a zampa d’elefante, maglioncino attillato a scacchi e occhiali da sole. I due si ritrovano a chiacchierare sgranocchiando ossa e teschi. Pare la scena di un film - nel libro c’è perfino il bozzetto - ma anche un modo di esorcizzare la morte del grande regista, di riportarlo in vita attraverso i ricordi e di ripercorrere insieme a lui il suo testamento artistico. “Pasolini c’era allora - scrive Ferretti - c’è oggi e ci sarà domani”.
Grazie ai suggestivi racconti presenti nel libro - che assomigliano molto ai disegni di scena, dai tratti rapidi e precisi - ci pare davvero di entrare nel mondo del cinema tra gli anni ‘60 e ‘70, di essere sui set a Cinecittà o in giro per il mondo, di incontrare registi, attori, maestranze. Pasolini esce dalle pagine di questo libro con la forza di una presenza artistica ancora viva e la voce di Ferretti - ora ironica, ora nostalgica - ci regala la testimonianza di un grande sodalizio sia professionale che umano.
A cosa allude la bellezza imperfetta citata nel titolo di questo libro?
“L’imperfezione della bellezza era un tema molto caro a Pasolini e non solo a lui, di questo pare si parlasse spesso nelle lezioni romane che un misterioso maestro - forse un padre gesuita, forse lo psichiatra di Fellini, Ernst Bernhard - teneva a Roma negli anni ‘60 in presenza di alcuni personaggi del mondo del cinema. Quando giravamo invece, il dettaglio imperfetto era quello che Pasolini cercava sempre, per rendere più realistica la scena. Da allora nelle mie scenografie lascio sempre spazio a questo insegnamento. Così se commetto qualche errore ho sempre la scusa pronta”.
In che modo Pasolini ha plasmato il suo sguardo di giovane scenografo?
“Con Pier Paolo ho imparato a guardare le cose in modo nuovo. Realtà e immaginazione in lui si fondevano e davano vita a dettagli di portata simbolica. Le mosche sul set del Vangelo secondo Matteo entravano nelle inquadrature sia per rendere le riprese più realistiche ma anche perché la mosca richiama l’idea della morte che in Pasolini era centrale. Lui era convinto che finché siamo vivi manchiamo di senso. Grazie a lui ho anche imparato a vedere il cinema attraverso la pittura: le arti figurative sono una fonte di ispirazione fondamentale per chi fa cinema. Il suo Vangelo ad esempio è un omaggio a Roberto Longhi, alle diapositive delle opere d’arte che proiettava quando Pasolini era suo studente a Bologna. È stato lui a insegnarmi cosa significasse vivere una visione e trasformare la vita in arte”.
Nei capitoli dedicati ai film che lei e Pasolini avete girato insieme emergono anche i ritratti di alcuni attori come Maria Callas e Totò. Come li ricorda?
“Sul set di Medea eravamo tutti molto concentrati e immersi nelle atmosfere della tragedia greca. Una mattina Maria Callas scoppiò a piangere tra le braccia di Pier Paolo. Ricordo i suoi grandi occhi truccati da Medea, bellissimi. Lavorare con Pasolini era un salto esistenziale. Sui suoi set non esistevano dive o divi ma donne e uomini pieni di fragilità. Totò era stato scelto da Pasolini perché secondo lui univa l’assurdità e il clownesco con l’immensamente umano. In casa mia era un attore amatissimo. Ricordo che sul set arrivava ogni giorno puntualissimo, col suo autista. Lui era abituato a fare la maschera della commedia dell’arte, a improvvisare, e invece sui set di Pasolini doveva rispettare il copione, ma quando Pier Paolo lo vedeva in difficoltà lo aiutava tagliando le battute”.
Dopo la morte di Pasolini, lei è diventato lo scenografo di fiducia di Fellini, due registi molto diversi ma con alcuni tratti in comune. Come era lavorare con loro?
“Sul set erano completamente diversi. Nonostante i dodici anni di collaborazione sul set e gli otto film, con Pasolini ci siamo sempre dati del lei. C’era un rapporto di stima professionale reciproca e di grande sintonia umana ma raramente si parlava delle nostre vite private. Con Fellini invece sul set ci divertivamo molto, lui faceva sempre delle battute ed era ossessionato dai sogni. Ogni mattina si faceva a gara a chi raccontava il sogno più bello. Pasolini e Fellini però si conoscevano bene, avevano lavorato insieme e si stimavano. Dopo la morte di Pier Paolo io sono diventato una specie di cerniera fra questi due universi straordinari”.
Dopo la morte di Fellini lei ha lavorato a lungo anche con Martin Scorsese, avete fatto insieme ben nove film. Ci sono delle similitudini fra lui e Pasolini?
“Come Pasolini, anche Scorsese ama l’arte in modo totalizzante. Lavorando con entrambi ho capito che uno scenografo è anche un artista che deve interiorizzare le grandi sfide della storia dell’arte. A volte gli elementi architettonici che inventiamo devono esprimere una forza visiva tale da diventare protagonisti del film. Scorsese ammira molto il lavoro di Pasolini. Anni fa mi disse che il Vangelo secondo Matteo è il film su Gesù che avrebbe voluto fare lui. Recentemente mi ha confidato che gli piacerebbe fare un altro film ispirato alla vita di Gesù, tratto da un testo di Shusaku Endo, lo stesso autore a cui si è ispirato per girare Silence. Sarebbe un onore contribuire a questo nuovo progetto, magari il decimo film con lui sarebbe il più pasoliniano”.