Un anno dopo la riproposizione di due titoli significativi come Detour a Il diritto di uccidere, il Cinema Ritrovato torna a puntare la lente sul noir americano del periodo immediatamente postbellico, focalizzando l’obiettivo su un autore particolarmente fecondo nel quinquennio 1947-51. Tuttavia, dietro il nome di Felix E. Feist si srotola un cursus honorum che in poco più di vent’anni ha sospinto l’autore newyorkese da un orizzonte filmico all’altro; su una linea che congiunge idealmente il disaster movie Deluge (1933) all’horror sci-fi di Donovan’s Brain (1953), il nostro approdò all’hard boiled solo nel 1947, dopo aver passato gli anni della guerra dirigendo musical e commedie rosa.
Pur collocandosi nell’orbita del mondo noir, i quattro titoli selezionati non suonano la stessa musica: se la distinzione tra i b-movies (Devil Thumbs a Ride e Threat) e le due pellicole successive appare come palese all’osservatore, ciononostante essa non rappresenta l’unico elemento di divergenza all’interno dei noir di Feist. Nei primi casi, ci si trova dinanzi a lavori dal minutaggio di poco superiore ad un’ora, con un intreccio bipartito tra road movie e hostage thriller, laddove nella seconda parte la temporalità della suspense viene dilatata e la posizione dei protagonisti risulta quantomeno disperata, sino al capovolgimento finale. L’ibridazione degli stilemi emerge ancora più netta in Tomorrow Is Another Day, dove l’hard boiled finisce per mescolarsi alla commedia romantica. Sulla base di ciò, operare una categorizzazione dei film di Feist per sottogeneri risulterebbe forse una forzatura, in quanto l’universo noir si è spesso ibridato con stilemi pulp o del road-movie, risultando permeabile a tali influenze.
D’altro canto, la delineazione dei protagonisti nel genere noir ha storicamente seguito una codificazione molto precisa; eppure, all’interno della cernita operata da Eddie Muller, le figure topiche dell’antieroe e della dark lady risultano quantomeno stranianti rispetto ai canoni della tradizione. Fa eccezione The Man Who Cheated Himself, in cui il rapporto triangolare tra i due poliziotti e la femme fatale ricalca da vicino la formula di un nume tutelare dell’hard boiled come La fiamma del peccato. Ad un confronto globale, il tratto più ricorrente è la cardinalità dei personaggi femminili, dee ex machina per lo svolgimento della trama. Ma andiamo con ordine.
Una pur effimera inquadratura sulla rilevanza delle ladies nel cinema noir di Feist necessita di un’ulteriore distinzione, il cui tratto discriminante consiste banalmente nello stato civile delle stesse: in tutte le opere proposte nella sezione, la donna sposata assume il ruolo che nella narrativa viene attribuito all’aiutante del protagonista. Grazie alla propria capacità intuitiva e al tempismo dell’azione, tale personaggio permette di risolvere l’intreccio criminoso e di ribaltare la situazione a vantaggio dei propri amati, tramite l’intervento della polizia; allo stesso tempo, però, la donna sposata rimane un soggetto perfettamente integrato nella società americana e perfettamente corrispondente alla propria immagine sociale, al contrario del suo omologo maschile, ripetutamente raggirato e soggiogato fisicamente dal villain. Non è un caso che in tutti i last stands vedano il protagonista come assente ingiustificato, in quanto sempre stordito o svenuto: a risolvere la situazione interviene il secondo tipo femminile, la donna indipendente che non esita a premere il grilletto.
Non si però parlare a pieno titolo di dark lady: nel finale di The Threat, è Carol a sparare freddamente al villain/antieroe “Red” Kluger, ma nel corso della trama la donna era stata trattata come inaffidabile da quest’ultimo, vedendosi respinto ogni tentativo di seduzione. In The Devil Thumbs a Ride, i tratti caratteristici dell’avvenenza e della malizia non si trovano in una femme fatale, ma nella coppia Agnes-Beulah. Ma è, in definitiva, il titolo del 1951 a lasciare più stupefatti, dove le regole inappellabili del genere vengono stravolte da un finale positivo, frutto dell’imposizione degli studios. Ed in questo caso, pur sfuggendo i topoi della dark lady, la ballerina Cay esercita un controllo totale sull’ingenuo Bill Clark, negandogli ripetutamente la verità e sottraendogli l’arma prima dello scontro finale; non serve assumere per forza una prospettiva freudiana o femminista per vedere nello sparo di Cay che disarma definitivamente il protagonista la castrazione dell’eroe, le cui autorità e virilità vengono smentite ed azzerate nel corso del film. Capire se tali caratteri, attribuiti ai personaggi femminili, siano l’espressione di una personale visione di Feist, se siano organici alle diramazioni del genere o meno, se siano il riflesso di quegli anni o no, rimane compito della critica specializzata; tuttavia, senza questi tratti, tutta l’opera filmica del regista assumerebbe una delineazione ben differente.