Ci troviamo a Roma, nella casa di una coppia convivente: Gustav e Luca. Dalla quotidianità dei loro dialoghi, Luca si accorge che il suo compagno pensa, in maniera latente, come un maschilista. Ciò non vuol dire che sia contro le donne, ma che in lui è ancora presente quella radice misogina della nostra (passata) cultura italiana. Così, come promessa d’amore, Luca accetta di “curarsi” da questo malanno intraprendendo assieme a Gustav un viaggio nei meandri nascosti, ma neanche troppo, della nostra società.
Con questo espediente narrativo inizia un vero e proprio documentario, fatto di interviste e occasioni fittizie che mostrano come al giorno d’oggi la parità dei sessi sia ben lontana dall’essere realtà concreta.
Dicktatorship, di Gustav Hofer e Luca Ragazzi nonché interpreti del film stesso, partecipa al Biografilm 2019, ed esce anche in prima visione quasi in contemporanea. Grazie a intermezzi di finzione narrativa e spezzoni di varia natura, dai cartoni ironici su Trump e Berlusconi al corteggiamento tra animali, i due registi riescono a rendere più light un tema attuale e molto discusso, senza però sminuirne l’importanza. Tramite inquadrature semplici e piuttosto statiche, i due viaggiano per tutta la penisola visitando Venezia, Padova, Milano sino ad arrivare a Barcellona, città in cui Gustav, e noi assieme a lui, vive un’esperienza virtuale di violenza verbale contro la donna.
“L’Italia è un Paese ossessionato dal pisello. Tutto ruota attorno a quello”. Dicktatorship ci fa vedere come il nostro passato sia stato prettamente patriarcale e come questo sia tutt’ora incarnato nella mentalità di femmine e maschi. Di come, nonostante le battaglie femministe degli anni Settanta, ancora oggi un padre sia reticente a far giocare suo figlio con una Barbie. O ancora, delle grandi polemiche suscitate dalla richiesta dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini di cambiare l’articolo determinato da “il” presidente a “la” presidente. Gustav e Luca non si limitano a interpellare esperti di sociologia o psicologia, ma anche personaggi famosi, quali Rocco Siffredi o Michela Murgia, e persone comuni di età e sesso diverso incontrate per strada. È un vero e proprio sondaggio sul pensiero italiano e sul ruolo che donna e uomo dovrebbero avere nella nostra società.
“Il femminismo non discute il maschio. Discute il patriarcato” afferma la scrittrice Michela Murgia. Ed ecco il problema reale: se si mette in discussione il patriarcato e il maschio “perde” potere, che ruolo sociale rimane all’uomo? L’uomo moderno è un uomo in crisi, che non sa più definire in cosa consista l’identità maschile. L’uomo moderno non ha più un modello da seguire. “Ci è sempre stato chiesto di corrispondere a un modello anziché cercare di essere noi stessi. Oggi, invece, non si tratta di chiedere agli uomini la disponibilità a rinunciare al potere, ma di capire che dietro alla rinuncia di un pezzo di potere ci può essere l’opportunità di conquistarsi uno spazio di libertà”.