Se nel suo importante esordio Montparnasse – Femminile singolare l’emergente Léonor Serraille raccontava i tentativi della protagonista Paula di costruire e difendere una propria autonomia e indipendenza tra affetti e lavoro, nel secondo lungometraggio Due fratelli la regista parte da uno spunto simile per intraprendere invece altri percorsi.
La giovane Rose, emigrata negli anni Ottanta coi figli dalla Costa d’Avorio in Francia in cerca di fortuna, vive una condizione analoga a quella di Paula, ma a differenza dell’altra protagonista è maggiormente trascinata dagli accadimenti. Inizialmente attenta e determinata, presto si lascia coinvolgere in situazioni sempre più degradanti, passando da una relazione all’altra alla ricerca di un equilibrio che evidentemente le manca. Questa instabilità si ripercuote inevitabilmente sui bambini Jean ed Ernest, lasciando su di essi strascichi che ne influenzano le rispettive esistenze nell’arco dei vent’anni che la cineasta racconta seguendo l’evoluzione dei tre protagonisti.
Se la donna è dunque relegata a un graduale immiserimento per via degli uomini sbagliati a cui regolarmente si accompagna, le figure dei figli invece maturano secondo percorsi propri, sviluppando tendenze e personalità opposte pur se affini. Jean, responsabile e volenteroso, si prodiga per tutelare e crescere il più piccolo Ernest ma, condizionato da un’insicurezza latente che non gli permette di sentirsi mai all’altezza di qualsiasi situazione, svilupperà un livore verso se stesso e la madre che lo condurrà su una cattiva strada. È invece il fratello minore, apparentemente svogliato e inconcludente, a trovare una via di affermazione attraverso la lenta fascinazione per lo studio che lo porterà a emanciparsi dalla condivisa situazione di emarginazione familiare, per diventare una persona matura e diversa.
Serraille dimostra nuovamente una concezione decisamente negativa dei legami e delle conseguenze che da essi possono scaturire. Non c’è nulla di positivo nella rappresentazione offerta della famiglia e delle sue dinamiche. Infatti l’unico a salvarsi è apparentemente Ernest, che ha tagliato radicalmente i ponti coi suoi e con ciò che di negativo hanno rappresentato.
La scelta della filosofia sottende per lui un intimo bisogno di creare ordine dove prima era il caos, un tentativo di dare senso al proprio tempo, alla propria esistenza, superando quell’impasse che ha portato Rose e Jean a rassegnarsi agli eventi senza cercare di dar loro una direzione. Entrambi hanno infatti subìto passato e presente senza interrogarsi su di essi, “senza vivere mai, ma sperando di vivere” come afferma Ernest citando Pascal ai suoi studenti.
Due fratelli affronta così dinamiche della marginalità sociale da una prospettiva che – pur nella sua forzata univocità – apre a considerazioni su cui il cinema ha il compito di riflettere e far riflettere in un contesto tanto complesso come quello contemporaneo.