“Come le commedie e i melodrammi, i film ‘star is born’ sembrano dapprima essere critici verso Hollywood ma in realtà non sono altro che una celebrazione della creatività, del caos e della collaborazione dell’industria cinematografica”. James Stratton nel suo libro A Star Is Born and Born Again (2015) analizza quel particolare filone del cinema americano in cui “Hollywood talks about Hollywood”, concentrandosi in particolare sul topos narrativo di È nata una stella, consacrato ad archetipo narrativo dopo la potentissima trasposizione di George Cukor datata 1954.
Terzo di quattro film – presto cinque (Bradley Cooper ha diretto e interpretato una sua versione con protagonista Lady Gaga), il film è ricalcato sull’omonimo del 1937 (a sua volta rifacimento non ufficiale di A che prezzo Hollywood?, film dello stesso Cukor del 1932) e avrebbe avuto un altro remake nel 1976 con protagonista Barbra Streisand. Tragedia dello showbusiness per eccellenza, il filone ‘star is born’ attraversa dunque il cinema americano diacronicamente e con cadenze regolari: i meccanismi ineluttabili del racconto sono perfetti per essere riadattati e riadattati ancora a ogni epoca e generazione che, forse, avrà sempre un proprio È nata una stella in cui identificarsi.
Tuttavia c’è stato un momento in cui l’intero filone ha toccato un picco glorioso, in cui realtà cinematografica e finzione reale si sono toccati creando un connubio praticamente perfetto. Considerata la più grande interprete della sua generazione, Judy Garland è stata in grado di trasportare tutta sé stessa in un personaggio che, per la prima e ultima volta nella storia del filone, non è solo un’attrice ma una performer a tutto tondo. Un dettaglio unico e che rende il film di Cukor del 1954 diverso sia dai precedenti che dai successivi.
La storia è nota, ma stavolta sullo sfondo della tragica storia d’amore tra il divo in declino Norman Maine e la talentuosa Esther Blodgett assistiamo ad alcuni dei momenti più epici e visivamente potenti del crepuscolo del grande musical americano. Un sentimento di nostalgia e grandezza accompagnato dalla colonna sonora composta da Harold Arlen e Ira Gershin che, solo nel 1983, ha potuto rivivere quasi nella sua integrità grazie al massiccio restauro a opera di Ronald Haver.
Nonostante si tratti di un musical tardo, la colonna sonora di È nata una stella ha la stessa potenza delle grandi produzioni degli anni ’30 e ’40, accompagnandoci dietro le quinte dei teatri di posa, alla scoperta di luoghi e personaggi; esattamente come accadeva nei film di Busby Berkeley e nelle produzioni targate Warner.
Basti pensare al numero musicale d’apertura in Gotta Have Me Go With You, ma soprattutto la struggente The Man that Got Away, pezzo che lascia intuire le vere potenzialità drammatiche e vocali di Esther-Judy. Ma in realtà è l’excursus metacinematografico di I Was Born In A Trunk la vera anima del film; cucita ad hoc per le straordinarie capacità d’interprete di Judy Garland la sequenza è un one-woman show pressoché unico nella storia del cinema americano. Un momento in bilico tra realtà e messa in scena in cui non vi è più alcuna differenza tra interpretato e interprete, quasi a voler presagire la prematura scomparsa della Garland che non avrebbe più girato alcun musical.