Prima Nazionale al festival Gender Bender di El diablo es magnifico (2016) secondo lungometraggio di Nicolas Vidàl, classe 1988, giovane regista e drag performer cileno. Dopo Naomi Campbell, il cineasta torna con un racconto lirico sulla libertà e lo scotto da pagare per affermare coraggiosamente la propria identità. Alternando lo stile documentaristico e biografico al racconto di fiction, Vidàl ci conduce attraverso le strade francesi che rivivono nello sguardo queer e disincantato della protagonista: Manuela Guevara, 33 anni, transgender cilena emigrata a Parigi dieci anni prima, che, stanca dell’ipocrisia e del decadimento della città, ha deciso di tornare nel suo paese natìo.

Il racconto non-lineare di Manuela sembra prendere la forma di un diario, intimo e poetico, immerso nella cornice di Parigi, cristallizzata nel tempo come in una fotografia, in cui la protagonista rivive gli ultimi giorni prima della partenza, in un incessante andirivieni tra passato e presente, percorrendo a passo di danza – talvolta frenetica, talvolta misurata – le strade sordide che le - e ci -  parlano di amore e di sesso, in una Francia che tradisce il Mito della Libertà, Uguaglianza e Fratellanza, che accoglie le differenze per poi rigettarle come un corpo estraneo.

Vidàl contribuisce abilmente a rendere angusti e claustrofobici i vicoli notturni, solitari e vivi, pulsanti gli spazi ampi magnificamente illuminati, specchio del conflitto interiore della donna. La voce di Manuela narra dei sentimenti ai tempi della fluidità di genere, di cosa significhi amare, per chi appartiene al mondo del genere non-binario, in quella che viene definita la Capitale dell’Amore ma che ci richiede di definirci, univocamente, uomo o donna, per essere liberi di accedere all’esclusività dei rapporti amorosi. Ma lei non è né l’uno né l’altra. Sì, perché Manuela ha scolpito il proprio corpo come un’opera d’arte del Louvre, a immagine e somiglianza dei suoi desideri e lo espone senza abbassare lo sguardo, perché, come lei stessa dice “queer eye is never wrong”; ma sistematicamente il suo sguardo fisso è ritenuto minaccioso e il suo corpo viene usato, maltrattato, frainteso perché non categorizzabile. Si pone dunque in risalto il contrasto con l’ideologia genderqueer, che rifiuta le categorizzazioni binarie e rivendica la fluidità e la molteplicità dei generi. In questo contesto Manuela, quasi arresa ad un futuro di amore filiale ma non romantico, considera la proposta di matrimonio di un intimo amico che le permetterebbe di risolvere i suoi problemi di cittadinanza. Sarà il tenero incontro con uno straniero a farle credere in una realtà, possibile anche per lei, in cui l’amore e la libertà non sono prerogativa unica di una società eteronormata.

La colonna sonora composta da Santiago Jara e Martin Bruce, è una nenia distorta che puntella i momenti di epifania nel dipanarsi del racconto. Le sequenze di danza, come riti dionisiaci, sono movimenti che, progressivamente, liberano Manuela dalla catene sino ad arrivare alla catarsi e allo svelamento, all’orgoglioso rivendicare la sua natura, il suo non-essere ed essere totalmente, nel potente climax finale. Alla domanda, urlata per strada, “Cosa sei, un uomo o una donna?” la sua risposta dissacrante è in perfetta sintonia con questa visione: “Io sono il diavolo!”. Sì, un diavolo magnifico.

 El diablo es magnìfico è un inno alla libertà di genere, una tavolozza variopinta, ricca di contrasti, di luci e ombre, di storie che hanno l’urgenza di essere raccontate. È difficile non provare empatia, non riconoscersi nelle difficoltà che valicano le questioni di genere per confluire nel desiderio universale di amare ed essere amati, nella difficoltà di Essere e di Esserci, come esseri umani.