Un treno parte nella notte, avvolto dai fumi della bruma. Con questa scena si apre il viaggio verso Stoccolma intrapreso da Luigi Pirandello nel 1934 per ritirare l’ambito premio Nobel alla letteratura. Come avremo sperimentato, il viaggio è sempre un’occasione per riflettere sulla propria esistenza, sulle illusioni sbiadite, sui rimpianti incalliti e sulle verità mal digerite. A quest’esame discusso in presenza della nostra solitudine, non può sfuggire neppure un visionario come Luigi Pirandello e questo, Michele Placido lo ha dimostrato chiaramente, affidando a Fabrizio Bentivoglio le scomode vesti del grande Maestro.
Eterno visionario è un film che deraglia nell’anima dello scrittore e drammaturgo più frammentato del XX secolo e che tenta di far allineare il binario della vita privata - tra la degenerazione mentale della moglie Maria Antonietta Portulano (Valeria Bruni Tedeschi) e il delicato rapporto con i tre figli Stefano, Fausto e la piccola Lietta - al binario creativo delle sue opere teatrali, proprio come un personaggio in cerca di disperate risposte.
Mentre il viaggio prosegue, il tempo si condensa e in una spoglia carrozza Pirandello ripercorre le tappe dell’incontro che segnerà per sempre la sua vita, quello con Marta Abba (Federica Vincenti) sul palco dell’Accademia Silvio D’Amico. Futura diva del teatro italiano, la Marta mia alla quale Pirandello si rivolgerà nelle lettere scritte, diviene la Musa delle sue opere e della sua arte, la possibilità di redenzione dalla trappola paralizzante della vita.
Grazie a lei, il Maestro scopre la materialità sfuggente della donna, la chiave per rendere tangibile l’opera teatrale e rivitalizzarne il flusso esistenziale. Possiamo domandarci come sarebbe stata la vita di Pirandello senza Marta Abba e possiamo anche ignorare l’eventuale risposta. Che ci piaccia o meno, il destino (molto caro a Pirandello), li ha fatti incontrare e li ha plasmati attraverso un legame indistricabile ed etereo.
Inizia così un sodalizio artistico che condurrà Pirandello e la sua compagnia teatrale- ove primeggia la sua musa, a viaggiare da teatro a teatro per portare in scena le opere che hanno rivoluzionato la regia teatrale e ribaltato le leggi della verosimiglianza in tutte le grandi metropoli dell’epoca.
Tutto si fonde e si confonde, il teatro e il cinema si specchiano e si riflettono specularmente, vestendo l’uno i panni dell’altro, nel tentativo di indagare la vita e il significato insondabile della sua stessa rappresentazione. La cinepresa inerme non può far altro che seguire fedele quei personaggi instabili e scandalistici per gli anni, dalla prima assoluta de I sei personaggi in cerca d’autore al teatro Valle di Roma nel 1921 a Nostra Dea dell’amico Massimo Bontempelli, messa in scena dalla compagnia del Maestro al teatro Odescalchi nel 1925, in cui Marta Abba interpretò proprio l’audace protagonista Dea.
Personaggi che tormentano Pirandello con sussurri deliranti e che implorano l’autore di scrivere, di imprimere con inchiostro le forme delle loro identità spezzate che riuscirono a épater la bourgeoisie, a mostrare il riflesso umoristico del pubblico benpensante dell’epoca. Il treno viaggia veloce, così come il ricordo. Dalla calura siciliana, resa irrespirabile dalle miniere di zolfo fino ad arrivare a Berlino, per concordare un progetto cinematografico dei Sei Personaggi con la regia di Murnau che non si realizzerà mai e che sfumerà il sogno del primo cinematografo di Marta Abba.
E proprio in cabaret berlinese, sulle dolci note di Just a Gigolo echeggianti Marlene Dietrich, Pirandello si confronta con il suo fantasma più lungamente represso: il decorrere del tempo, un’eco che lo riporterà a ricucire un profondo legame con i figli e con la moglie Antonietta. Michele Placido restituisce una visione dicotomica nel tempo e nello spazio, un biopic consapevole o quasi rassegnato del fatto che non potrà mai svelare il vero volto dell’esistenza pirandelliana, ma fotografarne soltanto una maschera che, per quanto meravigliosa, rimarrà pur sempre una maschera.
E se la vita è una grande pupazzata, come la definiva il Maestro, allora è bene essere il primo attore dello spettacolo e diventare eterni.