Per celebrare Giulietta Masina – di cui si ricorda in questi giorni il centenario della nascita (San Giorgio di Piano, 22 febbraio 1921) e la sua scomparsa (Roma, 23 marzo 1994), avvenuta esattamente 27 anni fa – dal fondo Calendoli proponiamo una selezione di articoli, alcuni firmati dall’attrice stessa, al culmine della sua popolarità. Con l'interpretazione di Gelsomina (La Strada, 1954), Cabiria (Le notti di Cabiria, 1957), Giulietta entra trionfalmente nell’olimpo divistico internazionale. Pur opponendosi al processo di fusione tra la sua personalità e le vittime sacrificali che interpreta, la Masina non riuscì più a liberarsi di loro, né del mito di Charlot a cui venne ripetutamente paragonata.

Agli americani l'attrice ricordava un po' Topolino e un po' Santa Rita; Gary Cooper la definì un cocktail tra Lana Turner, June Allyson e Shelley Winters. Al ritorno dal suo primo viaggio negli Stati Uniti, sulle pagine di "Tempo" (maggio 1957) raccontò che gli abitanti d'oltreoceano "s’immaginavano, dopo aver visto La strada, che fossi una ragazzetta di sedici, diciassette anni, piuttosto selvatica e maleducata, incapace di indossare una pelliccia, di camminare con i tacchi alti senza inciampare, di sorridere con la bocca aperta, o, addirittura, una ragazzo travestito da donna".

La Masina tiene inoltre a spiegare qual è il suo approccio alla recitazione: "Quando devo interpretare un certo personaggio, io comincio a prepararmi, piano piano ci entro dentro, lo covo, al momento di interpretarlo lo vivo intensamente. Ma appena il film è finito, non ne voglio più sentir parlare. Fra me e il personaggio è finita, lui deve cominciare a vivere la sua vita, e io tornare alla mia. E invece prendete il caso di La strada. Da due anni non sento parlare d'altro. Migliaia di persone mi scrivono, settimanalmente parlandomi di Gelsomina. Altro che finita, è una storia che non ha più fine".

Sulla "Settimana Incom" del primo giungo 1957, viene descritta come una donna acqua e sapone che "non ha, alla prima apparenza, niente di speciale per piacere tanto al pubblico. Con lei trionfano sullo schermo altri valori. Sono l'intelligenza, la bravura, la misura: virtù borghesi, come fu la sua educazione. In più la Masina mette nei suoi personaggi una poesia semplice, umana, universale". Questo, conclude l'articolo, è il segreto del suo successo.

Il ritratto biografico che ne fa Cavicchioli in "Oggi" salda senza sbavature il personaggio alla donna che lo ha incarnato. Il titolo è emblematico: L'attrice che ci fa diventare buoni. A nulla vale ricordare la poliedricità dei suoi ruoli teatrali mentre frequentava l'università: "fu una donna quarantacinquenne (ne aveva in realtà diciassette) in Viaggio felice di Thorton Wilder; fu una ragazzina indiana in Ufficio postale di Tagore; fu una 'Cabiria' squilibrata che si crede una monaca in un lavoro di Stefano Landi. Poi fu una terribile megera settantenne in una commedia di Plauto; e infine un ragazzo diciottenne, coi baffetti in Il Gatto con gli stivali di Lessing". Il pezzo si apre con questa affermazione: "Gelsomina, cioè Cabiria, cioè l'attrice Giulietta Masina, da un paio di settimane possiede un'automobile tutta sua”.

L'intercambiabilità del ruolo che interpreta con la propria identità è un fatto. Un altro fatto è la storia che si racconta sul furto della sua 1100 nuova fiammante. Quando viene ritrovata, abbandonata in periferia, Giulietta trova un biglietto sul sedile che recita così: "Signora Giulietta Masina, ho letto sul foglio di circolazione che l'automobile è tua. Averlo saputo prima, e chi se la pigliava? Sono un tuo grande ammiratore. Al cinema mi hai fatto piangere come un ragazzino. E chi ha core di rubare le gomme di Cabiria? Tanti ossequi".

Per la stampa e il pubblico l’identità dell’attrice diventò un tutt’uno con Gelsomina/Cabiria, nonostante gli sforzi della Masina che in più occasioni sottolineò l’enorme quantità di energia che aveva dovuto mettere per entrare così in profondità in personaggi inermi e rassegnati al proprio destino e nei quali non si riconosceva per nulla. Le disavventure incontrate da Giulietta durante la lavorazione di La strada e Le notti di Cabiria sono riportate più volte, ma chi meglio della Masina stessa le ha potute raccontare?

"E poi mi sono convinta che questo genere di film mi porta male. A parte la grande fatica fisica e spirituale (se ne interpretassi due in un anno, avrei bisogno, dopo, di entrare in una casa di cura) ho passato sempre un sacco di guai. Durante la lavorazione di La strada, caddi dentro la botola di un fienile e mi lussai una spalla; inciampai nelle rotaie della macchina da presa e mi incrinai una caviglia; Zampanò mi mise, in una scena che poi venne tagliata, con la testa sotto una fontana di acqua gelida, (eravamo in Abruzzo, d'inverno) e io mi presi una febbre da cavallo. E durante l'ultimo film? Cabiria, badate, è la sorella di Gelsomina; anche lei è una vittima della violenza e della brutalità del mondo. Ed ecco il mio bilancio: una colica all'inizio del film e una frattura al ginocchio, a dir la verità, me lo sono rotto rientrando a casa dal lavoro una mattina alle 5, che era tutto buio, e io, come al solito, voglio fare lo scivolone sul pavimento, sbatto contro una porta, e casco; ma nessuno mi toglie dalla testa che la rottura fu favorita dal fatto che, durante la notte, mi ero dovuta gettare ginocchioni una ventina di volte, di peso, per interpretare la scena più drammatica del film”.

Ecco chi è davvero Giulietta. Una donna che torna a casa alle 5 del mattino e dopo una lunga ed estenuante prova attoriale, si scrolla di dosso Gelsomina con un irriverente gesto da monella che ha ancora voglia di scherzare. Sul “Corriere d’Informazione” del 30 marzo 1956, l’attrice dichiarò: “È stato difficile interpretare Gelsomina specialmente quando si trattava di esprimere la rassegnazione. Era uno sguardo che mi riusciva addirittura impossibile. Dovevano mettermi delle gocce di non so che cosa negli occhi per aiutarmi. Mi riesce difficile recitare la parte della vittima”. E con orgoglio malcelato raccontò anche che la produzione non la voleva nel ruolo della protagonista e che firmò il contratto solo dopo un mese dall’inizio della lavorazione: “per tutto quel tempo non seppi se avrei continuato a lavorare o se sarei stata sostituita”.

E il destino dell’attrice si rivelò assai diverso rispetto ai suoi amati quanto sfortunati personaggi. Sulla “Settimana Incom Illustrata” del 10 maggio 1958, Giulietta fa la cronistoria puntuale e divertita della notte degli Oscar: “A un certo punto vidi avvicinarsi al microfono Fred Astaire e sentii queste precise parole: «The nights of...». Poi s'era fermato interdetto. Per un americano il nome di Cabiria non è di facile pronuncia e Fred Astaire si era impuntato, proprio su quel nome: «Kebi...Kebiria». Diceva quasi sottovoce al microfono; ma io ero già schizzata sul palcoscenico come una fionda mi avesse catapultata lì. Ero fuori di me dalla sorpresa e dalla gioia. Anche quest'anno l'Oscar! Impossibile, mi dicevo, mentre le gambe mi tremavano: non capita mai che si vinca l'Oscar due volte di seguito, un anno dopo l'altro. Mi trovai vicino a Fred Astaire. Avevo davanti il microfono e dissi: «For the Producer Dino De Laurentiis, for the director Federico Fellini, for myself: thank you, thank you thank you». E piangevo come una stupida”.