Solo nell’ultimo anno abbiamo ritrovato la voce di Mina in almeno tre film. Per il suo Dolor y gloria, Pedro Almodóvar, che l’ha sempre amata follemente (in Matador c’è Espérame en el cielo), ha scelto Come sinfonia, struggente interpretazione di un pezzo di Pino Donaggio. Luna diamante, frutto della recentissima collaborazione con Ivano Fossati, impreziosisce un passaggio di La dea fortuna di Ferzan Ozpetek. E la scoppiettante Amore di tabacco compare incredibilmente nella colonna sonora di Spider-Man: Far from Home. Non basta mettere agli atti una discografia sterminata: da quando ha deciso di essere assente, Mina è quanto mai presente, anche nel cinema.

Se la sua presenza – corpo, mani, capelli voce – è stata esaltata dall’intelligenza di un regista televisivo geniale come Antonello Falqui, che ha saputo incastonarla nella memoria e nell’immaginario (provate a rivedere le sue esibizioni di Studio Uno o Teatro 10: sostanzialmente dei capolavori), verrebbe da dire che il cinema ha contribuito non poco a mitizzare una figura già di per sé titanica. Madrina queer, suono di un’epoca, dea immortale, la neo-ottantenne Mina riempie il cinema da sessant’anni. Per quanto il suo più grande film sia quello non fatto. E non è Il padrino (sì, Francis Ford Coppola propose anche a lei il ruolo poi andato a Diane Keaton). Federico Fellini, suo grande ammiratore, la voleva, infatti, nel cast del mitologico Viaggio di G. Mastorna, uno dei film-non-fatti più famosi della storia del cinema.

A pensarci bene, Mina è l’immagine di molte donne felliniane: in lei si fondono seduzione e intelligenza, abbondanza e mistero, carne e sogno. Volendo restare in quest’orbita, le prime apparizioni cinematografiche di Mina sembrano preamboli a La dolce vita o comunque frammenti, propaggini, digressioni di quella rivoluzione dei costumi raccontata dal caposaldo del maestro. In Urlatori alla sbarra, film marziano e sconquassante che Lucio Fulci mette su nel 1959, un anno prima di Fellini, l’epifania di Mina è un’esplosione. Nel fiore dei suoi diciannove anni, canta e balla Nessuno e Tintarella di luna con la consapevole incoscienza di una performer sfrontata e naturale, peraltro incontrandosi con quell’Adriano Celentano – poi amico di una vita – che di lì un anno comparirà anche nella Dolce vita.

Ben presto si capisce che non può essere usata alla stregua di altri cantanti come “esecutrice di musiche”: lo fa poche volte, all’inizio, come nell’interessante “commedia con musiche” Appuntamento a Ischia, dove si esibisce nell’immortale Il cielo in una stanza, canzone tra le più sfruttate (la sentiamo anche in La ragazza con la valigia, Sapore di mare e perfino in Quei bravi ragazzi), e in Appuntamento in riviera, sempre di Mario Mattoli. Un po’ è usata come star di proto-musicarelli (Mina… fuori la guardia, Io bacio… tu baci), un po’ gioca a fare se stessa (Sanremo, la grande sfida), un po’ s’improvvisa commediante (Madri pericolose): eppure da subito il cinema coglie in Mina la possibilità di una voce. Della voce.

Paradossalmente, sul grande schermo è già un’assenza. Sì, c’è un ultimo tentativo di adoperarla come attrice nella squinternata favola musicale Per amore… per magia, ma si tratta di un caso. Mina è già colonna sonora di una nazione, del cambiamento della società, delle nuove consapevolezze delle ragazze colte nei rispettivi romanzi di formazione. Mina stessa – turbolenta e tormentata abitante dei rotocalchi scandalistici – è fondamentale per capire l’emancipazione delle giovani donne di quel preciso momento storico.

È la voce che accompagna la borghesia nel proprio smarrimento (L’avventura, ma anche le lascive tentazioni di Io, Emmanuelle e La sculacciata…) e rimbomba in una delle tante città vuote del suo cammino (Roma: L’eclisse con la travolgente Eclisse Twist e La decima vittima e con l’irresistibile Spiral Waltz). È la voce dell’estate che annuncia la malinconia dell’autunno (Leoni al sole, La voglia matta), della quiete che postula la tempesta (Io la conoscevo bene), di un ricordo che ha i contorni del mito (Strategia del ragno) o dell’incubo (Gran bollito). Mina può essere – anzi: è – tutto ciò che desidera, tutto ciò che chiediamo lei sia. E se dopo anni in cui il cinema ha attinto al suo sconfinato repertorio – impossibile contare tutte le canzoni inserite negli score da oltre mezzo secolo – Mina ha deciso di concedersi per un pezzo inedito, nella fattispecie Amore unico amore per La banda dei Babbi Natale, è solo perché, si sa, lei fa quello che vuole. Mina ci sarà sempre nel suo non-esserci.