Una ruota panoramica azionata dalla forza delle braccia di acrobati arrampicati dà inizio al viaggio circolare di una troupe per l'Asia. Braccia sorreggono le marionette nei vari teatri d'ombre che la troupe incontra nel suo peregrinare. Fuori campo, invisibile allo spettatore, la compagnia porta a spalla la macchina da presa nel suo Grand Tour asiatico, alla caccia, come i primi vedutisti, di scorci inediti e angolazioni inesplorate, in un'epoca che, dopo aver mappato l'intero globo, pare aver perso l'interesse per la scoperta.
In tempi più vergini di immagini, le prime riprese cinematografiche di queste terre esotiche rappresentarono per molti spettatori il primo sguardo su mondi lontani, accorciando le distanze, come già fece la ferrovia. Ma nel cinema di Miguel Gomes i binari narrativi che promettono di ricongiungere direttamente questi mondi sono inaffidabili, il treno è destinato al deragliamento, la narrazione alla divagazione.
Immagini attuali del porto di Rangoon confluiscono in un calco sternberghiano, uno spazio ristretto e piovoso, gremito di persone e lingue, valigie e sogni. Edward sguscia tra la folla borghese, indifferente ai loro propositi di conquista, desideroso solo di perdersi nel mondo. Ma forse questo mondo, a lui e allo spettatore, rimarrà sempre estraneo. Un panda solitario, aggrappato ai rami di un albero, potrebbe rappresentare la metafora di questo Edward, disperso nella foresta cinese, vagabondo da tempo immemore in terra asiatica.
Tuttavia, come interpretare la storia proiettata su un telo del principe rapito da una gigantessa? E tutti quei dirottamenti della finzione che ci trasportano, a bordo di motorini e tuk-tuk, dal 1918 all'attualità? Immagini che rafforzano la contiguità spazio-temporale si alternano a momenti di puro détournement, che rendono tangibile il lavoro di messa in scena, la materialità del tempo.
Se Edward non riesce a perdersi nel mondo, è perché la sua fuga non è dalla borghesia europea, ma dalla promessa sposa Molly, il cui inseguimento lo riconduce al più tipico spettacolo borghese: la commedia del rimatrimonio. La cieca fiducia con cui Molly si mette sulle sue tracce ha meno a che fare con un'ossessione femminile che con la necessità di portare a compimento una sceneggiatura a tutti i costi. La sua sfrontata risata spezza le recite borghesi, ma non la devia dalla "sacra scrittura".
I due speculari tragitti narrativi rimandano a una modernità cinematografica in cui l'ambientazione esotica fungeva da mero sfondo ricostruito in studio. Qui però non solo la materia oppone una resistenza irriducibile alla finzione, ma è proprio grazie allo scontro con il documento che la finzione torna a produrre quell'ipnosi necessaria alla pratica artistica.
Due panda sono accovacciati tra i rami, ma forse Molly non raggiungerà mai il suo amato. Su un telo, intanto, la principessa, dopo aver sconfitto la gigantessa, si riunisce al principe. E se questo non fosse un racconto di ricongiungimento di coppia, bensì di scoperta di inaspettati legami parentali? In un'osteria vietnamita si canta "My Way" al karaoke, mentre a Saigon la danza degli scooter si trasforma in un valzer di sovrimpressioni. Attraverso il montaggio, il cinema fa risuonare la modernità urbana, diventando mezzo di comunicazione tra mondi distanti e di trasporto per lo spettatore.
Ma è nell'ingenua finzionalità di un primordiale spettacolo (che con un po' di trucco trasforma una mano in uno struzzo) che il cinema di finzione trova il suo più antico progenitore. Il gesto di Gomes, dunque, non è quello di far collassare il calco, ma di perpetuare altrimenti la sua eterna magia.