Il cinema di genere, soprattutto per quanto riguarda l'horror e la fantascienza, è sempre stato accompagnato da tentativi di nobilitazione da parte di alcuni autori - ma anche da rivalutazioni e riabilitazioni fatte a posteriori ad opera di certa critica - atte a elevare lo status di una cinematografia considerata, soprattutto in passato, minore: ad esempio attraverso sottotesti inerenti a tematiche sociali come la diversità e l'incomprensione.
Fondamentale è stato sicuramente l'apporto di alcune produzioni dal grande successo popolare come quelle della Universal che, tra gli anni Venti e Cinquanta, costruì un vero e proprio impero economico sulle sue pellicole horror.
Dalle prime produzioni di Carl Laemmle (tra cui i film con protagonista “l'uomo dalle mille facce” Lon Chaney, come Il fantasma dell'Opera del 1925), passando per il figlio Carl Laemmle Jr. con quelli che sono considerati i mostri classici (l'indimenticabile Dracula con Bela Lugosi del 1931) fino a dei veri e propri crossover (Frankenstein contro l'uomo lupo e Al di là del mistero) nella fase calante degli anni Quaranta, lo studio hollywoodiano ottenne diversi successi sia di pubblico che di critica.
È tra questi film che troviamo esempi eccellenti come il Frankenstein del 1931 diretto da James Whale, regista britannico dietro alcuni dei monster movie più riusciti (oltre al primo film con Boris Karloff vale la pena citare anche il seguito La moglie di Frankenstein e L'uomo invisibile). Proprio la creatura protagonista dell'opera di Whale è diventata una sorta di simbolo del sopracitato lato nobile del genere, il più fulgido esempio di mostro che si fa metafora del diverso. Cacciato a causa del suo aspetto deforme e per i misfatti compiuti per l'incomprensione del mondo che lo circonda (iconica la scena della piccola Maria), è difficile non provare empatia per il tormentato personaggio interpretato da Karloff.
Il binomio “mostro = diverso” si ripercuote anche sulla tarda filmografia orrorifica della Universal, toccando quello che è considerato il suo ultimo grande mostro, Gill-man (“Uomo branchia”). L'uomo pesce - definito dall'esperto di fantascienza Bill Warren “uno dei mostri più famosi mai creati” - è il protagonista di due pellicole in stereoscopia del veterano Jack Arnold (Il mostro della laguna nera del 1954 e La vendetta del mostro dell'anno seguente) e di una terza (Il terrore sul mondo, 1956) per la regia meno efficace di John Sherwood.
La tematica del diverso, che qui reagisce perché vede invaso il suo habitat o viene strappato ad esso, è stata esplicitamente citata da Arnold: “La crudeltà dell'uomo si rivolge contro qualsiasi cosa, soprattutto se diversa da sé […] ebrei contro arabi, bianchi contro neri. Prima impareremo la lezione meglio staremo. […] Ecco cosa cercavo di dire con i miei film in un modo accettabile per il pubblico”.
Nei film dell'uomo anfibio è anche presente una commistione con un aspetto più sessuale: l'attrazione non corrisposta da parte di Gill-man verso la donzella di turno (emblematiche, in questo senso, la scena in cui la creatura nuota con Julie Adams, quasi una rappresentazione metaforica di un rapporto sessuale, o quella del sequel mentre osserva gli amoreggiamenti tra John Agar e Lori Nelson come un amante tradito).
L’influenza di queste pellicole si è estesa oltre il loro tempo toccando tanti autori contemporanei, come lo scrittore e regista Clive Barker che, ispirato proprio dal suo amore per Frankenstein, scrisse e diresse Cabal, moderna parabola con protagonista un’intera comunità di mostri perseguitati dall’uomo.
Come non citare poi il trionfatore degli ultimi Oscar, Guillermo del Toro che ha tributato con il suo La forma dell’acqua Gill-man. Il regista messicano, definitosi “un chierico de Il mostro della laguna nera”, ha reso la metafora sulla diversità più esplicita che mai schierando dalla parte della sua creatura anfibia tutto un gruppo di personaggi rappresentati minoranze (afroamericani, omosessuali, disabili). Il lato sessuale viene qui filtrato da una visione romantica -figlia sia dell’Edward mani di forbice di Tim Burton che de Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet - dove la ragazza, una bellezza sicuramente alternativa, finalmente corrisponde il nostro adorato mostro che da “stalker” passa al ruolo di tenero amante.