Mulo. Esploratore. Pioniere. Asso. Infine, il diploma. Dopodiché, forse, la libertà. Insieme all’abbraccio dei parenti. Ma, come soleva dire agli studenti il sovrintendente Spencer, il più temuto della Nickel Academy, “questi sono affari vostri”. Nel vano tentativo di capire perché la sua vita avesse preso quella sventurata direzione, non poteva che tornare a piangere. Di nascosto, nel timore di essere preso di mira dai compagni di classe.

Eppure, nonostante l’esile corporatura, benché abbandonato da entrambi i genitori in tenera età, seppur inseguito da violenti incubi in cui si avvicendavano in un confuso tumulto i manganelli di poliziotti bianchi con la faccia da bulldog, occhiali in frantumi, i cartelloni e gli slogan dei manifestanti, Elwood l’ha sempre pensato.

Incoraggiato dai discorsi contenuti nel disco Martin Luther at Zion Hill – col senno di poi, i dieci centesimi più maledetti che avesse mai speso la nonna, Harriet –, Elwood ha sempre saputo di non valere meno degli altri. Anche se ignaro del peso delle sue parole, Elwood era consapevole di star crescendo in un’America diversa dalla fossa di serpenti in cui si fossero imbattuti i suoi avi. Jim Crow non sarebbe scomparso dall’oggi al domani, ma una nuova coscienza stava comunque nascendo, intenzionata a trasformare una nazione intera.

Un decennio prima, la sentenza Brown v. Board of Education – anche nota come Brown contro l’ufficio scolastico di Topeka, nel 1954 dichiarò incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole pubbliche – era stata una svolta incredibile. E allora, che un membro della sua famiglia aspirasse addirittura all’istruzione garantita da un college, secondo Harriet, era un vero e proprio miracolo.

Spontaneo domandarsi, a questo punto, come il ragazzo, così perbene, operoso fosse stato spedito, nel fiore degli anni, in un luogo spettrale quale la Nickel. Sarà forse stata colpa di quelle caramelle reclamate a gran voce all’interno del negozio del Signor Marconi a due coetanei colti nell’atto di rubarle. Gesto a seguito del quale i due lo picchiarono, non risparmiando neppure la sua bicicletta, costringendolo poi ad accettare, fatalmente, uno strappo da un certificato ladro di automobili.  O sarà forse stata colpa dei citati dieci centesimi, responsabili di aver inculcato le idee che l’avrebbero condotto alla rovina. Senz’altro. Ma, al di là di qualunque ricostruzione, è possibile sviluppare una risposta più articolata.

All’apparenza solo una scena di raccordo, in un passaggio di indiscutibile importanza, Elwood si ferma a guardare quell’altro mondo da fuori, piantandosi di fronte alla vetrina di un negozio, dietro la quale si celano alcuni televisori in esposizione, ognuno sintonizzato sullo stesso canale. In particolare, ascolta un frammento del discorso che MLK tenne al termine della terza marcia da Selma a Montgomery, il 25 marzo 1965.

Il leader rammenta al discepolo un insegnamento già udito in At Zion Hill: “Ogni giorno dobbiamo percorrere le strade della nostra vita con questo senso di dignità e di importanza”. Dunque, sulle eventuali conseguenze della sua chiamata avrebbe meditato successivamente, perché Elwood, ricordandosi bene chi fosse, era fatto così. Non intervenire avrebbe significato compromettere la propria dignità. Non se ne sarebbe mai rimasto in silenzio. Obbedendo a un unico imperativo morale: il dovere di disobbedire.

Ispirato all’omonimo romanzo Premio Pulitzer di Colson Whitehead, il quale iniziò a lavorarci dopo aver scoperto, leggendo un’approfondita inchiesta di Ben Montgomery pubblicata sul Tampa Bay Times, la storia degli orrori inflitti a centinaia di giovani afroamericani nella Dozier School for Boys di Marianna, in Florida, I ragazzi della Nickel di RaMell Ross è esso stesso un atto di disobbedienza, sotto tanti punti di vista.

Se a una prima occhiata le premesse della pellicola potrebbero richiamare alla memoria l’operazione compiuta da Jonathan Glazer nell’adattare il romanzo di Martin Amis La zona d’interesse, in questo caso è forse possibile risalire al momento in cui RaMell Ross ha scelto definitivamente un tal approccio.

In Renew the Encounter, manifesto apparso nel numero del febbraio 2019 della rivista Film Quarterly, Ross, giusto un mese prima candidato all’Oscar per il documentario Hale County This Morning, This Evening, affermava quanto segue: “Make the camera an organ. Take it into your body. Shoot toward a personal poetics.” Rendendo la camera un organo, arricchendo il corpo dei suoi protagonisti, divisi tra congetture sul funzionamento del mondo e gli ingenui progetti per batterlo in astuzia, Ross ci trasporta, sin dall’idilliaco incipit, nelle esistenze di Elwood e Turner, amici alle porte dell’inferno.

Soffermandosi sulla leggerezza di una foglia o di una moneta, sul lento diffondersi di un brivido lungo il braccio, sulle scorribande di un alligatore foriero di messaggi funesti, o sulle secche tracce di una fetta di torta sulla lama del coltello, Ross, a sua volta lettore come lo siamo stati noi, compie una precisa scelta politica. Dichiarando di non voler rinnegare, seppure al suo esordio nella fiction, la sua personale poetica.

La prima persona quale cifra stilistica – fotografia di Jomo Fray, già segnalatosi grazie al lavoro svolto in All Dirt Roads Taste of Salt (Raven Jackson, 2023) –, contro ogni pronostico, non si rivela uno sterile sfoggio di virtuosismo. Anzi, costantemente, specialmente nell’istante in cui assistiamo a un cambio di gioco, permettendoci così di incontrare per la prima volta Elwood, attraverso gli occhi di Turner, è in moto un’irredimibile ricerca di bellezza nella crudele insensatezza della quotidianità. Che si tratti di astri celesti soltanto immaginati e sognati, alla luce degli avvenimenti storici dai quali entrambi si ritroveranno esclusi, o della tonnellata di cannella sparsa senza remore su una ciotola di porridge al fine di conferirle il barlume di un sapore.

Ma la strenua opposizione allo sguardo tradizionale mantenuta da Ross, contrariamente all’opinione di Richard Brody, penna di spicco del New Yorker e fervido sostenitore del film, non rappresenta una nuova estetica. Semmai, inserendosi in una corrente inaugurata da Killer of Sheep di Charles Burnett, passando per opere a lungo colpevolmente trascurate quali Losing Ground di Kathleen Collins e Suzanne, Suzanne di Camille Billops e James Hatch, è la prosecuzione di un pensiero anche espresso dalla scrittrice e attivista bell hooks nel saggio The Oppositional Gaze: Black Female Spectator. Riprendendone un estratto, sostiene: “Senza ribaltare paradigmi, senza cambiare prospettive, non si possono trasformare le immagini né contribuire al progresso”.

Così si spiega il rinnovato e inusuale sguardo verso le ingiustizie perpetrate nel recente passato di artisti quali Garrett Bradley (Time, 2020) e il Premio Oscar Barry Jenkins – regista e sceneggiatore di una miniserie tratta dal primo romanzo vincitore del Pulitzer di Whitehead, La ferrovia sotterranea, al pari di Nickel Boys disponibile sulla piattaforma Prime Video. Ancora più prezioso poiché curioso e soprattutto non timoroso di ingaggiare un eventuale confronto con differenti modelli, bianchi.

Difatti, non è affatto casuale la breve menzione a La parete di fango di Stanley Kramer, figura liberal allo stesso tempo profondamente criticata da James Baldwin e affascinata dai temi scottanti dell’epoca, quali il disarmo nucleare (L’ultima spiaggia, 1959), la libertà di manifestazione del pensiero (…e l’uomo creò Satana, 1960), o le leggi anti-miscegenation (Indovina chi viene a cena?, 1967). Così, forse, al di là della naturale tendenza al lirismo e del ricorrente gusto per la sperimentazione, si spiega questo implacabile desiderio di verità. Affermava, in un numero del Black Film Bulletin risalente al 1997, la stessa bell hooks: “Devi essere disposto a dire la verità. Altrimenti, sarai sempre vittima delle bugie raccontate a te e su di te.”

E Nickel Boys è esattamente questo: come con raccapriccio veniamo informati della metodicità con cui i bianchi hanno voluto insegnare a una comunità già ridotta ai margini della società a essere grata di avere un tetto sopra la testa, così riconosciamo, svincolata dalla menzogna, un’amicizia di una sincerità sconfinata, raccontata con benevolenza ed empatia, restituendoci tutta la sua inimitabile eredità. Raccogliendo l’esempio di Elwood, anche RaMell Ross sa perfettamente di non valere meno degli altri. Eccome se lo dimostra!